Der Blick, der ans eine Schöne sich verliert, ist ein sabbatischer. Er rettet am Gegenstand etwas von der Ruhe seines Schöpfungstages. […] Fast könnte man sagen, daß vom Tempo, der Geduld und Ausdauer des Verweilens beim Einzelnen, Wahrheit selber abhängt.

Lo sguardo che si perde nella bellezza di un singolo oggetto è uno sguardo sabbatico. Esso salva nell'oggetto un po' della quiete del giorno in cui è stato creato. […] Si potrebbe quasi dire che la verità stessa dipende dal contegno, dalla pazienza e assiduità con cui si indugia presso quel singolo oggetto.

Theodor W. Adorno

giovedì 13 giugno 2013

Internaturalità
a cura di Claudio Cravero
PAV, 8 maggio - 29 settembre 2013

Filippo Leonardi, La natura ama nascondersi, 2012
courtesy 
www.parcoartevivente.it

  
  Non solo per il senso comune, ma anche per una lunga tradizione filosofica, il termine “naturale” è considerato l'opposto di “artificiale” ovvero “culturale”. Che cosa succede però quando si fa più labile il supposto confine tra natura e artificio tecnico, tra natura e civiltà lato sensu – un confine originario sul quale, ricordiamolo, si fonda il pensiero occidentale –, quando addirittura non è più possibile distinguere tra i due termini ritenuti antitetici, perché la linea di confine diventa una fascia, una zona indistinta, una no man's land filosofica? Collocarsi in questo ”tra”, in questa terra di nessuno, dando in un certo senso realizzazione al pensiero nomade di Gilles Deleuze, non manda forse in pezzi un'intera matrice culturale? Questo è solo uno dei quesiti stimolati dalle opere dei sedici artisti in mostra al PAV fino al 29 settembre.

  Già il titolo della mostra è una dichiarazione d'intenti: Internaturalità suggerisce infatti l'esistenza di più definizioni di natura, che talvolta, e qui in particolare, intendono entrare in reciproca connessione. Tale moltiplicazione delle prospettive sgretola, o quanto meno relativizza, il concetto unico e monolitico di Natura, sostituendolo con tante idee di natura quante sono le culture oppure i punti di vista espliciti o ancora gli scopi, spesso reconditi, della definizione stessa. Il curatore, Claudio Cravero, ha selezionato una serie di sguardi e riflessioni, eterogenea rispetto sia ai media impiegati sia ai riferimenti teorici di partenza. Su tutto però domina, ci sembra, la necessità di abbandonare una visione frontale, ingenua e spontanea del rapporto uomo/natura o natura reale/natura rappresentata, e di adottare uno sguardo laterale, anamorfico, più astuto e forse più ironico. Ciò colloca le varie opere esposte in una dimensione squisitamente concettuale.

  Molto rappresentativa, in questo senso, Colombaia mobile (2012-2013) l'opera di Filippo Leonardi che ci costringe a riconoscere il mutamento intervenuto in pochi decenni nella nostra percezione del piccione: da animale nobile e utile, indispensabile prima dell'avvento delle telecomunicazioni radio-telefoniche, a odierna piaga urbana da debellare. Nel volo di ritorno alla colombaia dei piccioni viaggiatori, filmato da una videocamera, Leonardi condensa poi una molteplicità di considerazioni sulle incredibili e sovente invisibili “abilità” degli animali, sulla relazione utilitaristica tra uomo e animale, ma anche sul repentino cambiamento della nostra sensibilità al venir meno di quella relazione. A dispetto della visibile frontalità espositiva, una simile lateralità prospettica e concettuale caratterizza anche la “litoteca” di Caretto e Spagna (Corpo Esteso, 2013), una raccolta di oggetti naturali, artefatti e ready-made, preziosi e poveri, che volutamente si mescolano, si e ci confondono, disorientando le nostre coordinate sul valore delle cose: reale, intrinseco, oppure ideale, esogeno. Alla confusione percettiva tra natura autentica e natura già asservita e manipolata, “costruita” e sofisticata per gli scopi più disparati, ma principalmente a fini commerciali, è dedicata l'emblematica installazione a parete Shelf life (2011) di Uli Westphal, cinque neon come quelli utilizzati nei supermercati per rendere esteticamente più appetibili, più “naturali” e fresche le carni e le verdure in vendita.

  Con il neon è realizzata anche la scritta eraclitea La natura ama nascondersi (2012),  l'altra opera in mostra di Filippo Leonardi, una formula di benvenuto che, collocata in posizione decentrata e poco appariscente sopra la porta di accesso al PAV, sembra voler dare compimento al proprio predicato, nascondendosi appunto, proprio come la natura, agli occhi dei visitatori, le cui profondità psicologiche, così come i dinamismi fisiologici (la “natura” in noi), sono celati dalle forme esteriori e visibili, sepolti sotto gli strati della cultura appresa, e che richiedono appunto, per essere colti, un enorme sforzo di ricerca e una percezione meno grossolana, meno scontata.

  L'attitudine della natura, che può essere sublime, come vide Kant, ma mai monumentale né celebrativa, nemmeno nelle sue manifestazioni più eccezionali, è condivisa, a ben vedere, da quasi tutte le opere esposte (prive di eccessi, minimaliste in quanto tendenti al minimo impatto visivo, ecologico ed economico), ma risalta maggiormente nelle ricerche di Luana Perilli (108, 2013) e dello svedese Henrik Håkansson (The hoverfly, 2002) che esibiscono la vita di insetti eusociali, non certo monumentali, al contrario umili e laboriosi (almeno nel nostro immaginario), come formiche e api. Luana Perilli, in particolare, traduce a livello estetico uno studio sociobiologico sui collettivi non ideologizzati come macro organismi teoricamente immortali, utopici e originari modelli di convivenza in tempi di crisi e di radicale individualismo.

  Ci sembra infine che le opere siano tutte connotate dal medesimo approccio, essenzialmente positivo e propositivo, che tuttavia manifesta il limite di rinunciare a un'antropologia negativa, presupponendo (in maniera poco dialettica) un'idea solo ottimistica, roussoviana di ambiente; una natura cioè dal volto benigno, docile, una vecchia Madre serena e prodiga da tutelare e magari imitare, obliterando la Matrigna, ossia i tratti ferini e brutali della sua azione spietata, a partire dai quali la specie homo, animale debole da sempre obbligato a proteggere sé e i suoi simili dai numerosi pericoli circostanti, ha dato avvio alla sua evoluzione tecnica e culturale. Nella nostra quotidianità di cittadini inurbati in territori del tutto artificiali, in cui la natura è stata completamente domata dalla tecnoscienza, è ormai praticamente sparito il contatto con il lato oscuro, il “cuore di tenebra” della natura. Ma quando esso si manifesta, non può che assumere forme catastrofiche.


***testo pubblicato (in versione ridotta) in www.artribune.com, 18 giugno 2013***