Der Blick, der ans eine Schöne sich verliert, ist ein sabbatischer. Er rettet am Gegenstand etwas von der Ruhe seines Schöpfungstages. […] Fast könnte man sagen, daß vom Tempo, der Geduld und Ausdauer des Verweilens beim Einzelnen, Wahrheit selber abhängt.

Lo sguardo che si perde nella bellezza di un singolo oggetto è uno sguardo sabbatico. Esso salva nell'oggetto un po' della quiete del giorno in cui è stato creato. […] Si potrebbe quasi dire che la verità stessa dipende dal contegno, dalla pazienza e assiduità con cui si indugia presso quel singolo oggetto.

Theodor W. Adorno

domenica 2 giugno 2013

Enrico Tealdi

air balloon, 2010, tecnica mista su carta, 36,5x44 cm
courtesy l'artista


Il romanzo di Ian McEwan Enduring love inizia con il ricordo di un picnic e l'incontro, rocambolesco nonché foriero di conseguenze imprevedibili, con un pallone aerostatico. Dal flashback della tragica morte di un uomo, precipitato da una mongolfiera poiché rimastovi aggrappato troppo a lungo nel tentativo di trattenerla a terra, si dipana una vicenda che sembra sviluppare in modo più profondo il significato metaforico racchiuso in quel drammatico gesto inaugurale: l'indugiare nell'attaccamento a qualcosa nella tensione tra sopra e sotto, cielo e terra, prima e adesso, ovvero le dimensioni propriamente figurative della memoria e dell'utopia.
Analogamente alle speranze, i ricordi possono essere zavorre che ci impediscono di spiccare il volo, oppure potenze più forti e grandi di noi, le quali, fuori controllo, ci trascinano inarrestabilmente con loro. Nel migliore dei casi, sono bagagli agili per affrontare ben attrezzati le esperienze della vita.
È questo il caso di Enrico Tealdi che, a dispetto della sua giovane età, viaggia portando con sé valige colme di ricordi. È cresciuto in una grande cascina d'inizio Novecento, che ancora oggi ospita il suo studio, dove le generazioni, nell'alternanza di travagli e riscatti, si sono avvicendate intrecciandosi le une alle altre, dove gli oggetti del passato si sono accumulati accanto a quelli del presente e le storie di una volta si sono impresse nella mente di chi vi abita, indicando spontaneamente un cammino per l'avvenire.
Le immagini dell'infanzia, propria o dei famigliari, scorrono come paesaggi dal finestrino di un treno, ora scivolando via, ora restando impresse sulla carta, custodite all'interno di vetri macchiati e cornici abbruciacchiate. Dallo scrigno del passato prossimo l'artista estrae ricordi, recupera sensazioni quasi fossero souvenir, salva istanti. Lavora in modo metodico, scientifico, per serie. Ogni opera è il tassello di una raccolta, e ogni raccolta è legata all'altra dal filo della memoria. Un filo sottile, però, come quello che spesso compare nei suoi disegni: tra le mani delle persone, attorcigliato tra le gambe dei mobili o penzolante tra due finestre; un filo che un soffio di vento basterebbe a spezzare. Le mongolfiere che nei dipinti di Tealdi sorvolano cieli sabbiosi sono le stesse che l'artista bambino vedeva librarsi sopra i prati del cuneese. Esili funicelle le congiungono reciprocamente, oppure, come nastri raminghi, si perdono in un altrove indistinto esterno alla superficie fisica del quadro. Non è possibile aggrapparvisi, né per gioco né per trattenerne il volo. Che si tratti forse di ciò che Freud chiamava “fili mentali” (Gedankenfäden)? Ovvero liaisons non meramente ideali tra passato remoto e adesso, tra infanzia ed esperienza odierna, che si fanno immagine tra pensiero e disegno, tra cervello e gesto artistico?
L'opera di Tealdi, pur sviluppandosi in rapporto al passato, espelle la temporalità, troncando il flusso storico esterno oggettivo e cancellando ogni tensione rispetto all'avvenire. Diversamente dal francese Christian Boltanski, che pure ha fatto della memoria il fulcro del proprio lavoro, Tealdi non ha una vocazione documentale né una prospettiva diacronica; le sue “memorie” sono fatti privati che non cercano l'universalità e tuttavia la raggiungono per vie inafferrabili, attraverso un linguaggio semplice ed evocativo, smuovendo con delicatezza immagini, oggetti e materiali noti, sepolti nelle pieghe profonde del vissuto personale di ciascuno: non “merci” morte, ma “cose” vive in senso rilkiano e heideggeriano. La stessa semplicità espressiva di cui Tealdi si serve caratterizza, del resto, uno dei concetti portanti della temporalità psicoanalitica freudiana: tracce (o impronte) del ricordo. Freud sembra alludere con gergo popolare all'idea che i ricordi, in noi, siano calchi delicati, appena percepibili, che può rintracciare solamente chi conosce perfettamente il territorio interiore per averlo percorso in continuazione tutta una vita, cercando impronte e, al contempo, lasciandone a sua volta, consapevolmente, di fresche.
Il senso di malinconia, lieve e dal sapore dolce, insito nella dimensione del ricordo rasserenato, trasmessoci dai lavori di Tealdi, è probabilmente dovuto a una sorta di ruvidità (propria non solo delle immagini rappresentate ma anche dei supporti utilizzati), alle loro tonalità naturali, terrose, nonché a una materia scabra e imperfetta, che lo avvicina esteticamente alla pittura di un Anselm Kiefer pacificato. Quel sentimento di malinconia, però, non sconfina mai, per Tealdi, nella disperazione o nell'inquietudine tipica di chi invece si sente perduto senza quel passato perché avverte tutta la propria inadeguatezza rispetto al vivere hic et nunc. L'aderenza, l'adesione, il “restare aggrappati”, temi cruciali della sua poetica, non hanno qui la stessa valenza teorico-estetica né il drammatico esito che possiedono, per esempio, in Franz Kafka, dove, come ci ricorda con acume Walter Benjamin, la tristezza e la tragicità hanno un'origine inequivocabile. Nell'infanzia.



***testo pubblicato in GIDM num. 2, vol. 33, giugno 2013***