Der Blick, der ans eine Schöne sich verliert, ist ein sabbatischer. Er rettet am Gegenstand etwas von der Ruhe seines Schöpfungstages. […] Fast könnte man sagen, daß vom Tempo, der Geduld und Ausdauer des Verweilens beim Einzelnen, Wahrheit selber abhängt.

Lo sguardo che si perde nella bellezza di un singolo oggetto è uno sguardo sabbatico. Esso salva nell'oggetto un po' della quiete del giorno in cui è stato creato. […] Si potrebbe quasi dire che la verità stessa dipende dal contegno, dalla pazienza e assiduità con cui si indugia presso quel singolo oggetto.

Theodor W. Adorno

lunedì 20 maggio 2013

Disobedience Archive (The Republic)
a cura di Marco Scotini
Castello di Rivoli, 22 aprile - 30 giugno 2013


Disobedience Archive (The Republic)
veduta della mostra presso il Castello di Rivoli, 2013
courtesy 
www.castellodirivoli.org

Dopo aver girato l'Europa attraversando più di dieci Paesi, Disobedience Archive (The Republic), a cura di Marco Scotini, approda anche al Castello di Rivoli. Un archivio corposo per quantità e qualità dei materiali raccolti, spesso autentiche rarità, uno scrupoloso lavoro di ricerca in continuo aggiornamento, che dura da oltre un decennio e tuttora in fieri.


Una mostra sui generis, con un allestimento site-specific, concepito dall'artista/architetto Céline Condorelli e il contributo del designer Martino Gamper. Un parlamento in legno dove gli scranni sono occupati da 57 televisori su cui scorrono altrettanti video, testimonianze di differenti forme di disobbedienza al “potere costituito”; una parabola temporale che va dagli anni Settanta a oggi, dal Festival del Proletariato giovanile al Parco Lambro di Milano alla Primavera Araba, passando per le proteste no global, le forme di bioresistenza, l'attivismo argentino, le esperienze di disobbedienza nei Paesi ex-comunisti e nelle università, e le lotte del femminismo.
Al cuore digitale dell'esposizione è affiancato un apparato iconografico di libri, manifesti, fotografie e sculture, con opere, tra gli altri, di Beuys, Merz e Gilardi. L'artista di origine messicana Erick Beltrán ha inoltre creato un'installazione di wall painting in ognuna delle tre sale espositive.

Al di là degli evidenti meriti dell'operazione, ossia da un lato la vis documentaria e dall'altro la volontà di rievocare concetti e pratiche politiche “dal basso” nell'epoca dell'Europa unita e assopita “dall'alto”, non possono sfuggire i suoi limiti, altrettanto evidenti.
In primo luogo, l'enorme mole documentaria (35 ore di filmati, contate per difetto) impedisce allo spettatore una chiara e approfondita fruizione dei materiali. L'esito quindi è paradossale: un approccio superficiale, frammentario, puramente presenzialistico, visivo ed estatico-contemplativo alle opere esposte, che le mortifica insieme alla ricerca che le ha rese disponibili, e ne contraddice la valenza analitica nonché storico-documentaria, inscrivendole proprio nel paradigma mainstream su cui poggia la società dello spettacolo che si intende criticare.
In secondo luogo un atroce dubbio, che investe perfino le fondamenta teoriche dell'intero progetto, ci assilla: il gesto di catalogare, schedare, archiviare, mappare la “disobbedienza” nelle sue diverse forme ed espressioni non è forse troppo simile ai metodi dell'autorità costituita, alle procedure delle varie agenzie statali, più o meno segrete, giudiziarie, civili-burocratiche o militari-poliziesche, preposte alla prevenzione, alla repressione, alla stabilizzazione? Non assomiglia forse, nei suoi codici profondi, al lavoro del “nemico”? Se evitiamo di cadere nella trappola teorica più fatale, interpretando unilateralmente, cioè solo in funzione ribelle, la foucaultiana microfisica del potere, allora la “strada” e i “movimenti” diventano il campo de-territorializzato dell'infiltrato, come la storia ha più volte dimostrato, mentre Scotini, con un apparente gesto di ri-territorializzazione e contrario che però ignora la costitutiva asimmetria tipica nelle questioni di potere, intende conta-minare il “palazzo”, alias museo/castello di Rivoli, turris eburnea dell'aristocrazia intellettuale, mutandolo in luogo della rivoluzione. Ma è pura finzione: lo Stato dentro i movimenti li disgrega; l'arte ribelle dentro il Museo lo rafforza. Rafforza le carriere, rassicura le élite che quella ribellione è in fondo simulacro, “solo” arte, rappresentazione ammansita, spettacolo innocuo.

A tal proposito ci permettiamo di proporre a Scotini un istruttivo esercizio di Einfühlung, di immedesimazione storica. Nel 1871 i rivoluzionari, durante la Comune di Parigi, nominarono Gustave Courbet a capo dei musei civici. Quando si accorse che i proletari in rivolta avevano preso a saccheggiarli in quanto emblemi del potere tanto inviso, Courbet si prodigò per salvarli dalla rovina, pur continuando ad appoggiare la causa della Comune. Ebbe cioè la stessa reazione del conservatore Nietzsche, trasalito alla (falsa) notizia che il Louvre era stato razziato dai comunardi. Del resto, come ricorda Walter Benjamin, la cultura non è sempre frutto di precedenti atti di barbarie? Che cosa penserebbe o farebbe Scotini se la reale disobbedienza irrompesse nel Museo, se la rabbia popolare devastasse il suo Disobedience Archive e così, distruggendolo, ne desse definitivo compimento?


***testo pubblicato in www.artribune.com, 17 maggio 2013***