Der Blick, der ans eine Schöne sich verliert, ist ein sabbatischer. Er rettet am Gegenstand etwas von der Ruhe seines Schöpfungstages. […] Fast könnte man sagen, daß vom Tempo, der Geduld und Ausdauer des Verweilens beim Einzelnen, Wahrheit selber abhängt.

Lo sguardo che si perde nella bellezza di un singolo oggetto è uno sguardo sabbatico. Esso salva nell'oggetto un po' della quiete del giorno in cui è stato creato. […] Si potrebbe quasi dire che la verità stessa dipende dal contegno, dalla pazienza e assiduità con cui si indugia presso quel singolo oggetto.

Theodor W. Adorno

lunedì 22 agosto 2011

Ida Harm

sally gardens, tecnica mista su tela, 150x100 cm
courtesy l’artista


Down by the Sally gardens my love and I did meet;
She passed the Salley gardens with her little snow-white feet.
She bid me take love easy, as the leaves grow on the tree;
But I, being young and foolish, with her I did not agree.


In a field by the river my love and I did stand,
And on my leaning shoulder she placed her snow-white hand.
She bid me take life easy, as the grass grows on the hills;
But I was young and foolish, and now am full of tears.
(William Butler Yeats, 1889) 


I versi della poesia di Yeats sono presenti in filigrana dietro alla pittura. Parole, sillabe, singole lettere emergono come un canto lontano portato dal vento attraverso lo stormire delle foglie. 
Ida Harm riesce a fondere poesia, arte e natura in immagini esteticamente rassicuranti che sembrano riaffiorare dai nostri ricordi. Pomeriggi estivi passati a leggere all'ombra di un grande albero, cullati da un dolce torpore; l'erba fresca sotto i nostri piedi arabescata da chiazze di chiaroscuro, il baluginare della luce del sole che a tratti illumina le pagine del libro.

    Facendo tesoro dell'esperienza impressionista, Ida Harm dipinge a piccoli tocchi e con pennellate puntuali; le figure, prive di contorni, sembrano liquefarsi una nell'altra ed emergono per puro contrasto cromatico; i colori non sono reali ma realistici, traducendo sulla tela l'impressione della realtà così come “appare” ai nostri occhi e non come “è” in modo oggettivo.
Al centro della scena c'è l'albero, protagonista assoluto della pittura, a cui sovente fanno compagnia pochi segni antropici: altalene, dondoli e panchine quasi a simboleggiare i due estremi della vita, infanzia e  vecchiaia. Mentre la nostra vita corre velocemente da un estremo all'altro, quella dell'albero disegna una parabola ampia che abbraccia più generazioni unificandole sotto la sua silenziosa presenza di metafora viva.                    
    La figura umana, iconograficamente assente, si percepisce nei dettagli; i rari oggetti e l'aspetto curato e non selvaggio della vegetazione alludono a una natura familiare e accogliente come quella dei boschi e delle campagne poco fuori città.     
L'albero rappresenta la perfetta armonizzazione tra maschile e femminile, forza e delicatezza. 

    Un antico proverbio del Congo recita: “Le radici non sanno ciò che si propongono di fare le foglie”. Gli alberi di Ida Harm hanno radici che affondano nel terreno e chiome ampie e rigogliose come individui saldamente ancorati alla propria storia personale, agli affetti, alle esperienze vissute ma con in testa un turbinio di sogni, idee, possibilità. 
Coeva alla poesia di Yeats, che ha ispirato all'artista l'opera presentata in copertina, è un passo di Karl Marx nel secondo libro del Capitale: “Lo sviluppo della civiltà e dell'industria in generale si è sempre mostrato così attivo nella distruzione dei boschi, che, al paragone, tutto ciò che essa fa invece per la loro conservazione e produzione è una grandezza assolutamente infinitesimale” (1885).
    Nell'Anno Internazionale delle Foreste la celebrazione che Ida Harm dedica agli alberi sembra quasi una sorta di monito, soprattutto se accompagnata dalle parole del filosofo tedesco, al rispetto e alla tutela del patrimonio di risorse e ricchezze costituito dagli alberi.

    In molte culture dell'Africa l'albero è simbolo di nascita e, per gli Swahili la vita dell'albero e quella del bambino per il quale viene piantato restano legate per sempre. Questa pratica ricorda l'usanza ebraica in epoca talmudica che consisteva nel piantare un cedro alla nascita di un maschietto e un pino alla nascita di una bambina; quando si sposavano, i sostegni della Khuppah (baldacchino nuziale) erano formati dai rami di questi alberi; ancora oggi molti ebrei usano far piantare un albero in Israele alla nascita del proprio figlio.
    Infine ritengo significativo ricordare che in Italia esiste una legge, la 113 del 29 gennaio 1992, che prescrive ai Comuni di piantare un albero per ogni neonato.


***testo pubblicato in GIDM n. 3, vol. 31, settembre 2011***