Der Blick, der ans eine Schöne sich verliert, ist ein sabbatischer. Er rettet am Gegenstand etwas von der Ruhe seines Schöpfungstages. […] Fast könnte man sagen, daß vom Tempo, der Geduld und Ausdauer des Verweilens beim Einzelnen, Wahrheit selber abhängt.

Lo sguardo che si perde nella bellezza di un singolo oggetto è uno sguardo sabbatico. Esso salva nell'oggetto un po' della quiete del giorno in cui è stato creato. […] Si potrebbe quasi dire che la verità stessa dipende dal contegno, dalla pazienza e assiduità con cui si indugia presso quel singolo oggetto.

Theodor W. Adorno

lunedì 15 novembre 2010

Wai Kit Lam

divided minds 06, 2006
stampa lambda su dibond, 75 x 100 cm, courtesy l’artista

La questione identitaria è da sempre centrale nel lavoro dell'artista che mentre all'estero si sente, o meglio viene considerata cinese, in patria, al contrario, si sente molto più vicina alla cultura occidentale che alle tradizioni della Cina continentale. 
La sua ricerca, essenzialmente introspettiva, è volta a indagare la discrasia tra ciò che lei crede di se stessa, il modo in cui pensa che gli altri la vedano, e il modo in cui gli altri effettivamente la vedono, nel tentativo di capire chi veramente sia Wai Kit Lam. 

   Nel ciclo di dittici fotografici divided minds - work in progress iniziato nel 2006 - Wai Kit Lam tenta di ricomporre la propria "mente divisa" tra luoghi, tempi e sensazioni a volte contrastanti. Due immagini, istantanee scattate in momenti e contesti spesso lontanissimi tra loro, vengono giustapposte ed acquistano un nuovo tempo e un nuovo luogo comune. L'artista propone di volta in volta la propria visione del mondo e di se stessa frugando tra una miriade di visioni e suggestioni raccolte durante i viaggi all'estero, la vita di ogni giorno, le sere passate in casa o con gli amici.
Non si tratta tuttavia di una sorta di galleria iconografica della vita dell'artista; i dittici, pur basandosi su contenuti autobiografici, si emancipano da qualsiasi riferimento di tipo contingente creando una realtà inedita. I suoi "non"ricordi diventano i nostri. I ricami di una tenda, uno scorcio di vita metropolitana, le ombre di una siepe sul muro non sono più soltanto fotogrammi di un racconto personale ma tasselli di infiniti possibili racconti ancora da scrivere.

    Porte, finestre, superfici specchianti (acqua, vetro, specchi), spazi chiusi giustapposti a spazi aperti (in e out), sono elementi ricorrenti nelle sue fotografie. Per l'artista noi siamo un "interno" proiettato verso un "esterno". I nostri organi sensoriali, gli occhi in particolare, permettono la comunicazione tra dentro e fuori, sono le nostre porte e le nostre finestre sul mondo e su altri interni - ogni altra soggettività. Gli specchi e le superfici riflettenti ci consentono di rivolgere la comunicazione verso noi stessi, di riflettere appunto, sull’immagine che presentiamo all'esterno, l'unica che altrimenti non saremmo in grado di vedere.


***testo pubblicato in 06 FUORI4***
catalogo della mostra, presso galleria Gallerati, Roma, 18/12/2010-31/01/2011