Daniele Franzella, Dell'inutilità, della disciplina e delle cose che ci sembrano importanti, 2015 Courtesy the artist |
Daniele Franzella. Chronik der Stadt
Ur
Atelier am Eck, in
Himmelgeister Straße 107
8. - 17. Mai 2015
Diego Ruggiero und José Florentino
Vögel und Bäume. Laissez mes armée
être les rochers et les arbres, et les oiseaux dans le ciel
SITTart Galerie im
Küstler-Atelierhaus
9. - 31. Mai 2015
Questo
maggio a Düsseldorf sono sbocciate le zagare, con due mostre di
artisti siciliani, entrambe a cura del palermitano Alessandro Pinto.
Il
7 maggio ha inaugurato all’Atelier am Eck una personale di Daniele
Franzella a coronamento di un mese di residenza effettuata
nell’ambito del Premio Fam Giovani 2014 organizzato dalle Fabbriche
Chiaramontane di Agrigento (FAM) in collaborazione con il Verein
Düsseldorf Palermo e. V. e con il Comune di Düsseldorf, Assessorato
alla Cultura.
Il
titolo, Cronache della città di Ur, rimanda a racconti
sepolti sotto la terra e secoli di storia. Tuttavia quelle che ci
troviamo di fronte sembrano piuttosto memorie di un passato vicino,
anche se ormai, a cento anni esatti dall’entrata in guerra
dell’Italia nel primo conflitto mondiale, restano sempre meno
testimoni diretti di quei fatti.
Il
cuore della mostra è un impressionante arazzo in lattice color ocra,
al centro del quale campeggia un
bassorilievo raffigurante un battaglione di alpini immortalato in una
fotografia storica di archivio. Viene spontaneo accostare questo
“reperto moderno” all’antico stendardo di Ur, un
pannello ligneo intarsiato di epoca sumera (oggi conservato al
British Museum) che raffigura su un lato un banchetto, interpretato
come simbolo di pace, e su quello opposto un esercito, interpretato
come simbolo di guerra. Nell’opera di Franzella queste due facce
opposte sono unificate. Il drappo pende come una pelle d’orso,
senza speranza e senza forza. Gli alpini appaiono come i soldati di
un esercito di argilla, anonimo nel suo complesso a causa della sua
“uniformità‟ cromatica, ma in cui è riconoscibile
l’individualità di ogni volto, al di sopra della “uniforme”
militare. Franzella spiega di aver scelto di lavorare con il lattice
per poter ottenere lo stesso effetto materico e lo stesso colore
della pelle umana: il colore della pelle umana viva, come il
ricordo qui rievocato.
Poco
distante, in alto e ben visibile su una parete arretrata, come un
simbolo araldico dell’esposizione, è appesa una bandiera tricolore
di cemento, in cui i tre colori sono stati sostituiti da tre tonalità
di grigio. La bandiera si trasforma dunque da aereo vessillo a
pesante zavorra. I suoi colori sbiaditi, che non consentono di
attribuirle una patria precisa, sembrano suggerire la sua inutilità
ovvero la sua universalità simbolica. In realtà ha un solo colore:
il colore pallido di un cadavere. La bandiera, la nazione che spinge
alla guerra i suoi figli, muore nelle trincee. Ai piedi della
bandiera morta, scolorita e anonima, 98 sculture in terracotta,
ordinatamente allineate come croci in un cimitero militare, dove però
la croce, contro ogni ipocrisia moralistica, è sostituita dalla
forma totemica delle prime mine antiuomo, figure rachitiche e ossute
come astragali, usati in antichità nel gioco degli aliossi.
Attorno
a questi due lavori installativi principali, ruotano poi una serie di
lavori, per così dire minori, che come reperti archeologici
presentano sia una cronistoria, reale e insieme immaginaria, di una
guerra antica e di una civiltà scomparsa, sia il processo creativo
che ha portato alla mostra stessa. Esteticamente l’allestimento
deve molto all’Arte Povera: non drammatizza i fatti, ma lascia alla
forza dei materiali il compito di suggerire la storia che
custodiscono.
La
seconda mostra siciliana è invece leggera come chi viaggia senza
fardelli. Sia il palermitano Diego Ruggiero sia il portoghese José
Florentino, palermitano d’adozione, sono due Globe-trotter
o, meglio, due Sea-trotter, come racconta Alessandro Pinto nel
discorso di apertura dell’esposizione. Il curatore spiega infatti
come sia stato complicato organizzare l’evento, non potendo
contattare né localizzare con facilità i due artisti, sempre in
viaggio per mare. Tant’è
che la sera dell’inaugurazione è presente solo Florentino, mentre
Ruggiero si trova su qualche nave al largo delle coste maltesi.
Le
opere esposte sembrano aver assorbito dai propri autori il senso di
transitorietà di chi è sempre sul punto di salpare: un allestimento
ridotto all’indispensabile e improntato alla provvisorietà; un
medium, la fotografia stampata su carta, che non necessita
obbligatoriamente di un atelier né di ingombranti strumenti di
lavoro; soggetti lievi come gli uccelli, nel caso di Ruggiero, e le
fronde degli alberi, per Florentino.
Gli
obbiettivi di entrambe le macchine fotografiche sono rivolti al
cielo, alle geometrie e trame che in esso disegnano, rispettivamente,
il volo degli uccelli e le chiome degli alberi osservate dal basso
verso l’alto. Tanto poco basta a catturare i nostri occhi e a
sedurli con la semplice poesia che scaturisce dalla natura. La
poesia, scriveva P. B. Shelley, «trasforma tutto ciò che tocca, e
tutte le forme che si muovono entro lo splendore della sua presenza,
grazie a una meravigliosa solidarietà, vengono incarnate nello
spirito che essa respira. [Essa] toglie la pellicola della
familiarità del mondo e scopre la nuda e sonnolenta bellezza che è
lo spirito delle sue forme». Lo stesso ha fatto qui la fotografia.
***versione italiana dell'articolo pubblicato in tedesco su
Trylon.de, 18 maggio 2015***
Daniele Franzella, vista dell'installazione presso Atelier Am Eck Courtesy the artist |
Daniele Franzella, vista della mostra presso Atelier Am Eck Courtesy the artist |
Daniele Franzella, dettaglio dell'opera esposta presso Atelier Am Eck Courtesy the artist |
José Florentino Courtesy the artist |
José Florentino Courtesy the artist |
Diego Ruggiero Courtesy the artist |
Diego Ruggiero Courtesy the artist |
Diego Ruggiero e José Florentino, vista della mostra presso SITTart Galerie Courtesy the artists |