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La
personale di Christoph Schellberg riserva al visitatore due piacevoli
illusioni.
La
prima riguarda l’installazione e il criterio formale cui è
ispirata che sembra prospettare una narrazione basata su un preciso
ordine, mentre si è di fronte a una sequenza “casuale” di
disegni abbastanza simili seppur privi di una relazione narrativa o
logica tra loro, ordinati solamente secondo un parametro oggettivo,
cioè la gradazione cromatica.
Cristoph Schellberg view of the installation at Linn Lühn Galerie, Düsseldorf |
Tale
sequenza
cromatica è a sua volta basata sul caso, perché il colore del
singolo sfondo è ottenuto con un procedimento di “ammollo” di
cui è sostanzialmente imprevedibile il risultato. Tra le centinaia
di fogli “creati” e colorati in maniera metodica dall’artista
con la tecnica del batik, ne sono stati scelti 50 e
sono stati allineati ordinatamente in un’unica fila. Risulta una
serie compiuta, uno spettro, con un inizio, uno svolgimento
riconoscibile e una fine, in cui la mancanza di un singolo disegno
mutilerebbe l’armonia complessiva. Vediamo un ordine geometrico
fondato da un lato su una catena di casualità e dall’altro su una
reiterazione quasi “tassonomica”, tipica delle collezioni
botaniche o entomologiche.
La
seconda illusione riguarda il contenuto, il messaggio delle opere.
L’illusione consiste nel far vedere allo spettatore dei significati
dove ci sono solo significanti, senso dove c’è solo segno. Questo
è possibile perché le opere creano una dissonanza
cognitiva
attraverso la predisposizione di piccole trappole ottiche, di natura
geometrica e prospettica. L’artista sembra lavorare sul concetto di
soglia percettiva, il cui esempio più tipico è quello della lingua:
anche quando una parola è incompleta o scritta erroneamente, basta
una quantità sufficiente di lettere per riconoscere quella parola.
Qui ciò avviene soprattutto per mezzo di segni scuri dissonanti in
funzione di “ombre”, che però a volte non rispettano le regole
della teoria delle ombre, oppure attraverso forme allusive (cerchi e
linee che sembrano occhiali, ovali che ricordano uova e triangoli
come piramidi ecc.). Il
nostro cervello individua, incasella e classifica sempre le immagini
e tende a ricondurle a figure note. Qui l’artista sfrutta con
ironia la coazione
figurativa
dello spettatore medio. Solo lo sforzo analitico e la distanza
critica riescono a non vedere significati dove ci sono solo segni.
Queste
opere sono state prodotte in un periodo di transizione in cui
l’artista è passato da un’arte chiaramente figurativa a una
ricerca maggiormente astratta. Ha scelto il disegno su carta, ossia
un medium particolarmente precario, spesso considerato secondario,
preparatorio, che però ha il grande vantaggio di essere più leggero
e più veloce di altre tecniche, consentendogli una produzione
febbrile di scala quasi industriale.
Così
facendo Schellberg marca una profonda distanza dalla sua ricerca
precedente incentrata sul ritratto realistico, come a voler
desacralizzare l’opera d’arte, non più frutto di una lenta
operosità e di una non comune abilità creativa, ma semplice
risultato di una operazione basata sulla ripetizione di una sequenza
di passaggi prestabiliti.
Infine,
nell’esclusione programmata dall’atto creativo di qualsivoglia
retaggio emotivo o narrativo, ci sembra di intravedere una vicinanza
con le
teorizzazioni e gli esiti del movimento artistico italiano MAC
(Movimento Arte Concreta) o “concretismo”, sorto a Milano nel
1948 e sviluppatosi fino agli anni Settanta. Forse a ciò si deve
quel lieve senso di anacronismo che sentiamo aleggiare su questi
lavori.
Al
di là dell’eleganza dell’installazione e della raffinatezza del
disegno, ci chiediamo, in conclusione, se il ricorso a tecniche
illusionistiche sia davvero indispensabile per riflettere sul
rapporto tra figurazione e astrattismo.
*** Articolo pubblicato in trylon.de - 7 maggio 2015 ***
* * *
Dem Besucher bereitet die
Einzelausstellung von Christoph Schellberg zwei Illusionen.
Die erste Illusion betrifft die formale
Struktur der Installation, die den Eindruck einer genauen Ordnung
erweckt. Dabei steht der Betrachter vor einer “zufälligen”
Reihenfolge von Zeichnungen, welche keine inhaltliche bzw.
erzählerische Beziehung miteinander unterhalten – und dies, obwohl
sie tiefe Ähnlichkeiten aufweisen. Diese Zeichnungen sind
ausschließlich nach einem objektiven Maßstab geordnet, d.h. nach
ihrer Farbabstufung.
Auf dem Zufall beruht dieser farbliche
Verlauf deswegen, weil die Farbe des jeweiligen Hintergrundes mit
Hilfe von einem Verfahren – dem Farbbad – hergestellt wurde,
dessen Ergebnis wesentlich unberechenbar ist. Unter den zahlreichen
Blättern, die der Künstler mit der Batiktechnik und durch eine
systematische Methodik produziert hat, sind 50 davon ausgewählt und
ordentlich aufgereiht worden. Daraus ergibt sich ein vollkommenes,
durch einen Anfang, einen erkennbaren Verlauf und ein Ende
charakterisiertes Farbspektrum, bei dem das Ausbleiben einer
einzelnen Zeichnung die gesamte Harmonie zerstören würde. Die
Ordnung der Bilder wurde also einerseits von einer Kette von
Zufälligkeiten und anderseits von einem quasi taxonomischen
Arrangement bestimmt, wie man ihn normalerweise in botanischen und
entomologischen Sammlungen findet.
Die zweite Illusion betrifft den
Inhalt, die „Botschaft“ dieser Werke. Die Illusion besteht darin,
dass das Publikum Signifikate wahrnimmt, wo man bloß Signifikante
vorfindet. Das ist allein möglich, weil die Bilder eine kognitive
Dissonanz schaffen, die uns kleine Wahrnehmungsfallen
perspektivischer Natur bereiten. Gern scheint der Künstler mit dem
psychophysischen Begriff von Wahrnehmungsschwelle zu spielen, dessen
typischstes Beispiel von der Sprache geboten wird: obwohl ein Wort
unvollständig bzw. irrtümlich geschrieben wird, kann man trotzdem
das ganze Wort erkennen, wenn es nur eine ausreichende Zahl von
Buchstaben vorhanden ist. Dies tritt bei Schellberg entweder durch
dunkle dissonante Zeichen, die als “Schatten” wirken und dabei
die Regeln der Schattenlehre nicht immer respektieren, oder durch
Formen und Körper – Kreise bzw. Linien, die eine Brille evozieren,
Ovale, die an Eier denken lassen, Dreiecke an Pyramiden, usw. Indem
sie auf bekannte Gestalten zurückgeführt werden, werden die Bilder
von unseren Gehirnen erörtert, eingeordnet und klassifiziert. Hier
nutzt der Künstler den Figurationszwang des durchschnittlichen
Rezipienten ironisch aus. Allein dank analytischer Bemühung und
kunstkritischer Distanz gelingt es, keinen Signifikanten
wahrzunehmen, wo man bloß Zeichen vorfindet.
Diese Werke scheinen in einer
Lebenszeit des Künstlers entstanden zu sein, die ein
Übergangsstadium seiner Recherche darstellen, als er sich von einer
explizit figurativen zu einer abstrakteren Ausdrucksweise
entwickelte. Hier hat Schellberg das Zeichnen auf Papier gewählt –
bestimmt nicht nur wegen der begrifflichen Verwandtschaft zwischen
Zeichen und Zeichnen –, also ein besonders prekäres Medium, das
oft als untergeordnet gehalten wird, allerdings den großen Vorteil
hat, dass es leichter und schneller als andere Techniken ist und eine
hektische, fast großmaßstäbliche Produktion von Werken ermöglicht.
Dadurch distanziert er sich von seiner
vorigen Arbeit, in der das realistische Bildnis im Mittelpunkt stand.
Jetzt scheint er das Kunstwerk entweihen zu wollen. Das Bild ist
nicht mehr das Resultat langsamen Arbeitseifers und ungewöhnlichen
Schaffensvermögens, sondern “bloße” Wiederholung einer
vorbestimmten Handlung.
Indem Schellberg jede Emotionalität
und Erzählung von seinen Arbeiten ausschließt, kommt seine
Position, so scheint es uns, den Theoriebildungen und Ergebnissen der
italienischen, 1948 in Mailand entstandenen und bis in die 70er sich
entwickelten Kunstbewegung MAC (Movimento Arte Concreta) bzw.
“Konkretismus”, nahe. Daraus stammt vielleicht der leichte
Anachronismus, den wir in diesen Werken spüren.
Trotz der deutlichen Eleganz dieser
Installation und der unzweifelhaften Feinheit dieser Zeichnungen,
möchten wir uns abschließend fragen, ob der Rückgriff auf
illusionistische Mittel notwendig ist, um über das Verhältnis
zwischen Figuration und Abstraktion zu reflektieren.
(Aus dem Italienischen von S. Franchini)