Michele Tocca, Cloud III, 2014
olio su tela, 80x50 cm
Courtesy of the Artist and of James Fuentes
Photo by Adam Reich
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Michele
Tocca è un pittore anagraficamente giovane, ma con una
consapevolezza già solida della propria disciplina: il dipingere
quasi esclusivamente a olio su tela e sempre dal vero non attesta
semplicemente la sua adesione a canoni e tecniche tradizionali; è
altresì un espediente per poter sviluppare una riflessione
sull'architettura dell'immagine pittorica, sulla mutevolezza del
«mondo in presa diretta», sulla necessità di aderire alle cose per
poterle tradurre in immagini.
Non
a caso, Tocca definisce la sua pittura «tattile», perché non può
prescindere dal contatto diretto e concreto con l'oggetto da
dipingere. In controtendenza rispetto alla progressiva
virtualizzazione delle relazioni, Tocca ritorna alla materia,
esaltandola nella tridimensionalità degli strati di pigmento
sovrapposti che emergono dalla superficie piana della tela, creando
avvallamenti, crepe e rilievi che amplificano i rapporti di luce e
ombra, e avvicinano la pittura alla scultura.
Nei
lavori di Tocca, accanto a questo calore “materico”
tipicamente mediterraneo, spicca tuttavia una nota di algida
luminosità maggiormente affine alla pittura nordica e fiamminga: una
contaminazione dovuta forse ai suoi studi e soggiorni in Belgio e
Gran Bretagna. Anche la compostezza formale, che si esprime
soprattutto nell'uso di una palette di colori umili
(beige, ocra e grigio), che si adagiano persino sulle tinte più
squillanti (rosso, blu, rosa), mitigandone
la temperatura cromatica
e uniformandole in una luce fredda e chiara, è riconducibile alla
lezione di artisti come
l'inglese William Nicholson (1872-1949) o la gallese Gwen John
(1876-1939), che infatti Tocca menziona tra i riferimenti
fondamentali della propria formazione, insieme ai francesi Andre
Derain (1880-1954), Tal-coat (1905-1985) e Soulange (n. 1919), nonché
agli americani Wayne Thiebaud (n. 1920) e Albert York (1928-2009) e
al canadese Robert Bordo (n. 1949), a lui più vicino, non solo in
termini generazionali, ma soprattutto per gli esiti formali della sua
ricerca artistica, connotata da uno stile telegrafico. Tocca cita
infine alcuni artisti italiani, purtroppo spesso marginalizzati, in
particolare Roberto Melli (1885-1958) e Fausto Pirandello
(1899-1975), esponenti della Scuola
Romana. Commenta l'artista: «I riferimenti sono molteplici e fanno
parte di una continua interrogazione sulla materia, sulla pittura e
il rapporto con l'esperienza del mondo, ovvero ciò che per me conta
maggiormente».
Materia
ed esperienza, dunque, che nelle opere della serie Cloud
(a cui appartiene anche l'immagine in copertina) si misurano con la
precarietà del tempo,
nella doppia accezione del termine (meteorologico e cronologico),
declinato in rapporto all'attività artistica condotta en
plein air.
Spiega
Tocca: «Nei lavori della serie delle nuvole il rapporto con il tempo
è invertito. È il tempo, anche meteo, a impormi le modalità di
lavoro: quando posso e non posso lavorare; quanto tempo una nuvola si
trattiene in un punto specifico; la necessità di preparare la
tavolozza in anticipo. Le nuvole e i fenomeni atmosferici in generale
hanno assunto per me un interesse sconfinato da qualche anno».
Tempus,
come
registrazione astratta della durata dei fenomeni, è un concetto che
tradisce la sua origine concreta, naturale, indissolubilmente legata
alle condizioni atmosferiche. La sua etimologia indoeuropea, infatti,
benché molto discussa (pare derivi dal greco temno,
“separare, dividere”), rimanda al “periodo” dell'anno, alla
“stagione”.
Insieme
all'osservazione del cielo e del moto astrale, la constatazione
primordiale dell'alternanza delle stagioni, con le relative
variazioni climatiche, ha costituito probabilmente la base primitiva
del calcolo del tempo.
L'urgenza
di cogliere la nuvola in un determinato istante, prima che cambi
completamente conformazione, spinge Tocca a dipingere velocemente,
senza ampi margini di riflessione. Tale rapidità di esecuzione
traspare nelle pennellate, che sembrano battute dal vento e che
conferiscono un senso di forte dinamismo all'immagine. Difficile non
associare questi studi su paesaggi e nuvole a quelli del pittore
romantico John Constable (1776-1837) il quale a tal fine utilizzava i
noti brushstrokes,
ossia colpi di pennello sparsi, dati a piccoli tocchi.
La
nuvola che, nonostante i raffinati strumenti matematici, la teoria
dei giochi, il calcolo delle probabilità e le teorie del caos di cui
si serve la moderna meteorologia, rimane ancora simbolo di
transitorietà, di movimento incessante e continuo, è un soggetto
ricorrente e tradizionale nella pittura sia europea sia orientale. In
Occidente del resto ha una valenza teologica fondamentale, in quanto
figura teofanica per eccellenza, nella quale Dio rivela in gloria, e
al contempo maschera, il proprio volto. La nuvola, che mostra e
insieme cela, è materia, possiede una sostanza, ma una sostanza
informe, perfetta per esprimere l'idea di una divinità aniconica ed
epifanica come Yahwè. Ma quando Mosè, in un'anticipazione
straordinaria del principio di indeterminazione di Heisenberg, si
accinge a toccare la nube per conoscerla, questa svanisce. La stessa
cosa si potrebbe dire dei pittori: le nubi, entità sfuggenti, sono
refrattarie alla rappresentazione e forse è il pittore che si
appresta a ritrarle, non già il vento, a farle spostare nel cielo.