Gianluca Di Pasquale,
Bagnante, 2013-2014 olio su tela, cm 150 × 100 Courtesy Galleria Monica De Cardenas, Milano/Zuoz Foto di Andrea Rossetti |
Lo scorcio dipinto da Gianluca Di Pasquale ci immerge in un
angolo di paradiso, raccolto e sereno. In un diradamento
della foresta lussureggiante i nostri occhi sorprendono una
donna solitaria e nuda nelle acque ferme di un lago, inconsapevole dello sguardo altrui e abbandonata al piacere del
bagno e della natura.
Il soggetto della bagnante – ritratta sola o più spesso in gruppo
– attraversa la storia dell’arte occidentale tracciando un ampio
arco stilistico che prende avvio con il recupero della mitologia
greco-romana operato dai maestri rinascimentali e legato in
particolare ai miti di Artemide e Atteone oppure di Diana al
bagno circondata da ninfe e satiri. Il tema si reitera sostanzialmente invariato nella teatralizzazione barocca delle medesime
figure; riemerge in epoca neoclassica e simbolista (per esempio nel popolato universo femminile di Ingres e di Puvis de
Chavannes) per giungere, attraverso il setaccio realista che lo
“secolarizza” e depura di ogni residuo mitologico, direttamente
alla rottura compiuta da Manet nel Déjeuner sur l’herbe (1862-63) e alla svolta impressionista, che avrà il suo apice in Renoir
e nel ciclo delle bagnanti di Cézanne, i quali, insieme ai proto-espressionisti tedeschi di Die Brücke (in particolare Karl
Schmidt-Rottluff e Ernst Ludwig Kirchner), consegneranno il
tema, completamente stravolto, alle avanguardie storiche novecentesche.
Come nel celebre dipinto di Manet, anche qui la figura femminile, inserita in una scena bucolica secondo il canone classico, sembra preoccuparsi poco o per nulla del proprio
aspetto e del decoro. Ciò conferisce alla scena una pacata
tensione erotica, una sensualità lieve e naif, la stessa che proviamo di fronte alle opere di un altro grande pittore francese
– malgrado il disprezzo con cui fu accolto il suo lavoro di autodidatta – con il quale Di Pasquale sembra duettare apertamente e mostrare esplicite affinità: Henri Rousseau
(1844-1910). I tableaux de jungle d’inizio Novecento, che
hanno reso indimenticabile “il Doganiere” , entrano in profonda
risonanza con questa serie di esotici paesaggi a olio: la delicata precisione disegnativa delle differenti specie botaniche,
l’estrema eleganza della composizione (immaginaria, verrebbe
da sospettare), l’elemento fiabesco stemperato in un erotismo avvolgente come l’atmosfera caldo-umida della giungla,
annullano infatti la distanza tutta temporale tra i due artisti.
C’è inoltre un aspetto imponderabile, benché inconfondibile,
nell’esotismo della flora e del color rosa pesca del cielo al tramonto, che ci induce a definire la quinta scenica predisposta
da Di Pasquale più come “giungla” che come semplice
“bosco”, anche se l’artista riesce a dileguare il tipico senso di
inquietudine (non del tutto assente nelle tele di Rousseau) normalmente associato all’intrico opprimente e soverchiante di
alberi e cespugli, rami e foglie. Manca insomma quell’idea di
caos, confusione, spietatezza perfettamente evocata e descritta, nel primo decennio del XX secolo, da Joseph Conrad
in Cuore di tenebra (1902) oppure da Upton Sinclair, con intenti esplicitamente metaforici, nel romanzo La giungla (1906).
Pur evitando eccessi d’ingenuità, Di Pasquale ci presenta una
natura benigna e accogliente, dove la vegetazione, ordinata e
luminosa, funge da idilliaco palcoscenico pubblico per i gesti
privati dell’ignara attrice senza veli.
Nel combinare fascino femminile e amenità paesaggistiche
secondo un modello tradizionale, Di Pasquale sembra strizzare l’occhio, in eclatante controtendenza, a un codice culturale inesorabilmente sorpassato, tipico dell’età vittoriana,
quando la generale pruderie era accompagnata da una morbosa volontà di “spiare”, di penetrare nel continente ancora
misterioso dell’altrui sfera inconscia e sessuale (una volontà di
cui la psicoanalisi freudiana, comparsa proprio in quegli anni,
è compiuto paradigma). Oggi invece, al suo acme, la logica
della sovraesposizione mediatica che regge la civiltà dello
spettacolo subisce una torsione radicale: attraverso l’universale condivisione e ostentazione consentita e stimolata dai
social network è l’intimità dei singoli a invadere la sfera pubblica. Tutt’altro che reazionaria, la riservata bagnante di Di Pasquale incarna quindi, paradossalmente, un elemento di
resistenza al diffuso affanno esibizionistico, perché ormai «fare
le cose in segreto», come già denunciava con visionaria lungimiranza Aldous Huxley nel suo romanzo più celebre (Brave
New World, 1932), «equivale, in pratica, a non far nulla».
***testo pubblicato in GIDM - num. 2, vol. 34, giugno 2014***