Jefferson Hayman, One Dollar stampa in gelatina ai sali d'argento, Ed. 25, 19,5x17 cm Courtesy galleria PH Neutro, Pietrasanta (LU) |
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L’opera
One Dollar
di Jefferson Hayman si
può considerare, sotto tutti i
punti di vista, un autentico trattato teologico-economico sulla
circolarità dialettica innescata dalla differenza costitutiva tra
l’oggetto “moneta“ e il concetto “denaro”, dall’invisibile
tensione tra valore reale e valore nominale. Un singolo biglietto
verde americano, con il suo tipico numero di serie e anno di
emissione da parte della Federal Reserve, fuoriesce dalla dimensione
puramente economico-politica e viene trasferito nella sfera estetica
grazie all’atto della produzione artistica.
La possibilità di
rientrare nella sfera dello scambio, in questo caso il mercato
dell’arte, è vincolata all’acquisto da parte del collezionista:
vi ritorna, appunto, sotto forma di opera d’arte, sebbene (eludendo
con eleganza i dettami più spartani della pop art) non come
ready-made, ossia come banconota, con il suo irrisorio valore
materiale, bensì trasformata a livello ontologico dal medium
fotografico (come già rivelano le ridotte dimensioni dell’oggetto)
e mutata, grazie alla collocazione miniaturizzata al centro
dell’ampia cornice scura, in una sorta di gioiello, di pietra
preziosa.
Rappresentazione
artistica della rappresentazione economica, One Dollar è quindi una
rappresentazione di secondo grado, dotata però, paradossalmente, di
un contenuto di realtà maggiore rispetto all’oggetto raffigurato.
Qui la finzione artistica, contrariamente al solito, ha addirittura
aggiunto realtà e concretezza alla finzione economica, andando a
costituire ex novo
quel sottostante materiale che a quest'ultima manca (almeno fin
dall'abolizione del gold exchange
standard). E questo, ai nostri
occhi, non rivela tanto la natura divina e creatrice del gesto
artistico, quanto piuttosto la palese assurdità della teoria
economica dominante e la fragilità del mondo finanziario da essa
creato e legittimato.
In
generale, infatti, la moneta, specie in forma cartacea e ancor più
nella sua recente versione elettronica, continua a essere non solo la
finzione religiosa più grandiosa ed efficace della storia umana,
avvolta com'è, soprattutto oggi, dai fumi mistici diffusi dai sommi
sacerdoti (o forse stregoni) monetaristi, ma è diventata anche e
indiscutibilmente la finzione più potente, essendo basata sulla pura
fede che un foglietto di carta abbia un valore nominale multiplo
rispetto al suo valore reale, senza peraltro nessun sottostante
fisico che possa garantirlo. Solo due entità materiali, de
facto, offrono simile garanzia:
l’autorità armata dell'emittente – super-Stato sovrano
riconosciuto da tutta la comunità degli Stati sovrani – e la
stessa, mastodontica, indistinta massa monetaria circolante, quella
reserve currency
creata e progressivamente alimentata dall'eufemistico quantitative
“easing”. Un'illogica
tautologia, si direbbe, che ha però l'unico e non secondario pregio
di funzionare ancora.
Con
il suo gesto, semplice ma profondamente metamorfico e implicitamente
rivoluzionario, l’artista cancella d’un tratto tutti gli elementi
caratteristici dell’oggetto “moneta” e del concetto “denaro”.
Limitando la riproduzione di One Dollar a una serie di sole
venticinque copie, per esempio, Hayman oblitera la tipica
standardizzazione e uniformità delle banconote, ne contraddice
l'illimitata creatio ex nihilo
in un diluvio di infinite repliche identiche nonché l'universale
fungibilità ed equivalenza. E in questo senso l'opera costituisce
una seria riflessione
sulla categoria dell'individualità.
Fissando
poi il lavoro alla parete di una galleria o di un museo in veste di
fotografia artistica, assegnandogli un proprietario determinato,
rendendolo oggetto di personale contemplazione, l'artista sottrae One Dollar al suo destino di assoluta e
superficiale mobilità, salvandolo dallo sradicamento e impedendogli
così di sparire in flussi monetari immateriali, caotici,
indifferenziati: proprio come farebbe un poeta con le preziose parole
di un'antica, nobile lingua, l'inglese, cui sembra toccata in sorte
la medesima degradazione spettante alla valuta globale per
eccellenza. A
tal proposito, One Dollar
rivela una malcelata ispirazione
soteriologica, che infine
ritroviamo anche nella tecnica classica ai sali d'argento adottata
per sviluppare l'immagine. Come nella serie fotografica dedicata a
New York, Hayman ricrea un'atmosfera d'antan,
rievoca un'epoca sicura di sé e ottimista, ma irrimediabilmente
trascorsa, quando al significato simbolico del “verdone” erano
ancora connesse, nel mondo intero, speranze e attese che ormai la
crisi globale, di cui l'America è stata epicentro e detonatore, ha
definitivamente spazzato via. Quel One Dollar stampato nel 1995, ma che
sembra risalire a parecchi decenni fa, ha già, e manterrà a lungo,
l'aspetto di un reperto numismatico, icona e vestigia di un mondo che
sta sparendo o che forse, a nostra insaputa, la storia ha già
sepolto.
Veronica Liotti e Stefano Franchini
(English version)
The
work One Dollar by
Jefferson Hayman can be considered, beyond every point of view, a
real theological-economical tractatus
upon the dialectical circularity activated by the constitutive
difference between “coin” as an object and “money” as a
concept, based on the invisible tension between real value and
nominal value. A single american greenback, with its typical serial
number and year of issue by the Federal Reserve, comes out from the
pure economical-political dimension and is transferred into
aesthetics thanks to an act of artistic creation. The chance to
return to the exchange realm, in this case the art market, is bond by
the collector's purchase: it comes back, indeed, under the status of
artwork. Although (eluding with elegance the most spartan precepts of
pop-art) not as a ready-made, thus a banknote with its paltry
material value, but rather ontologically transformed by means of
photography (as revealed also by the reduced dimensions of the
object) and changed, thanks to the miniaturized collocation inside
the wide dark frame, in a sort of jewel, of precious stone.
As
artistic representation of the economic representation, One Dollar is
therefore a second grade representation although paradoxically
provided with a content of reality greater than the portrayed object.
Here artistic fiction, unlike usually, has even added reality and
concreteness to the economic fiction, establishing ex
novo that
underlaying asset missing in the latter (at least until the abolition
of the gold-exchange standard). This, in our view, does not reveal
the divine and creating nature of the artistic act but rather the
evident absurdity of the mainstream economic theories and the
fragility of the financial world it has created and legitimated.
Actually
currency, primarily as banknote made of paper and even more in its
recent electronic version, remains, not only the grandest and most
efficient religious fiction of human history, infused as it is,
especially today, by the mystic fumes spread by the highest
monetarist ministers (or maybe wizards), but has also become
unquestionably the most powerful fiction because it is based upon the
pure faith that a little sheet of paper has a nominal value multiple
compared to its own real value, furthermore without any physical
object as guarantee. Only two material entities offer de
facto such
a guarantee: the issuer armed authority – the super Sovereign State
recognized by the entire community of Sovereign States – and the
same, colossal, featureless circulating monetary mass, that reserve
currency created and progressively enhanced by the euphemistic
quantitative “easing”. An illogical tautology, one might say,
that detains however the only and not secondary virtue of still
fulfilling its purpose.
With
his act, simple
but deeply metamorphic and implicitly revolutionary, the artist
suddenly deletes all the distinctive elements of the object “coin”
and of the concept “money”. For instance, by limiting the
production of One Dollar to
a series of only twenty-five copies, Hayman obliterates the typical
standardization and uniformity of banknotes and contradicts their
unlimited creatio
ex nihilo,
in a flood of never-ending identical replicas, as well as their
universal fungibility and equivalence. In this sense, the artwork
constitutes a serious reflection on the category of individuality.
By
hanging the work on a wall in a gallery or in a museum as an artistic
picture, assigning it a precise owner, making it a personal object of
contemplation, the artist takes One
dollar
away from its destiny of absolute and superficial mobility and saves
it from its uprooting thus preventing it from disappearing inside
immaterial, chaotic, undifferentiated monetary flows. Just like a
poet would do with the precious words of an ancient, noble tongue,
such as English, that seems to have had the same degrading fate as
the global currency par excellence. In this regard, One Dollar
reveals an ill-concealed soteriological inspiration that we finally
also rediscover in the classical silver gelatin process adopted to
develop the picture. As in the photographic series dedicated to New
York, Hayman recreates a d'antan
atmosphere. He recalls a self-confident and optimistic era, although
irremediably over, in which hopes and wishes, in the entire world,
were connected to the symbolic significance of the greenback that the
current global crisis, of which the US is the epicenter and the
trigger, has definitely swept away. That
One Dollar,
although
only
issued in
1995, seems to date back to many years ago and appears, and will do
so for long, as numismatic evidence, icon and remain of a fading
world that perhaps, unknowingly, history has already buried.
Veronica Liotti and Stefano Franchini
(translated from Italian by Veronica Liotti)
(translated from Italian by Veronica Liotti)