Boris Groys Courtesy Wikipedia |
(scroll down for the original English version)
Dopo
la pubblicazione dell'edizione tedesca nel 2009 è uscita quest'anno
per Mimesis la traduzione italiana di Einführung
in die Anti-Philosophie
(Introduzione
all'antifilosofia,
a cura di P. Perticari, trad. it. S. Franchini), una selezione di
saggi del filosofo e teorico dei media Boris Groys, annoverato tra le
cento personalità più influenti dell'arte contemporanea mondiale
dalla classifica di ArtReview dello scorso anno.
Stimolati
dalla lettura del volume, in cui la riflessione sull'arte
contemporanea diventa strumento per indagare e presentare sotto una
luce nuova il pensiero di alcuni tra i maggiori filosofi e pensatori,
da Heidegger a Benjamin, da Kierkegaard a Jünger, da McLuhan a
Derrida – solo per citarne alcuni –, abbiamo chiesto all'autore
di rispondere a qualche domanda.
Professor
Groys, nei suoi testi parla di anti-filosofia, ce ne potrebbe dare
una breve definizione? Quale relazione intercorre tra anti-filosofia
e anti-arte?
Boris
Groys: Per molto tempo l’arte è stata considerata una
manifestazione dell’idea eterna di Bellezza,
mentre la filosofia era considerata una manifestazione della Ragione
universale. Ma in seguito l’arte (in quanto anti-arte) ha iniziato
a occuparsi di desiderio, sofferenza, distruzione, dinamismo, ma
anche di vita quotidiana e noia ordinaria. Ugualmente il discorso
filosofico ha cominciato a includere l’elan
vital (lo
slancio vitale), il desiderio di morte,
la
noia profonda, l’estasi sacra, le strutture linguistiche, le forze
produttive e altre cose simili.
Questi
sviluppi hanno implicato una critica delle tradizionali nozioni di
filosofia e arte, ma hanno anche portato a un ampliamento degli
ambiti artistico e filosofico.
Si
definirebbe un anti-filosofo?
B.G.:
Sinceramente no. Commento determinati sviluppi
in arte e in filosofia, ma non prendo necessariamente posizione
all’interno del campo filosofico o artistico.
Che
rapporto c'è per lei tra arte e filosofia? Spesso, leggendo i suoi
testi, si ha l'impressione che lei non usi la filosofia per spiegare
l'arte, ma l'esatto contrario. È corretto?
B.G.:
Penso che la relazione tra filosofia e arte sia analoga alla
relazione tra scienze teoretiche e sperimentali. L’arte prende
determinate posizioni filosofiche, ideologiche, politiche, e mostra
cosa significhi non solo pensare in accordo a tali posizioni, ma
anche vivere con e per mezzo delle medesime. In questo senso l’arte
offre lezioni interessanti per il pensiero filosofico.
Che
cos'è, secondo lei, la critica d'arte contemporanea? In rapporto
all'anti-filosofia, c'è una differenza sostanziale tra filosofia
estetica e critica d'arte in senso stretto? È possibile
circoscrivere oggi un "campo" della critica d'arte?
B.G.: Non
credo che oggi tutte queste differenze e distinzioni siano davvero
rilevanti. Operando in ambito artistico e discorsivo si possono
scrivere testi filosofici, teoretici oppure di critica d’arte; si
può essere curatori, scrittori o artisti. La scelta del medium e del
contesto dipende da quello che si vuole dire e come, e dal
destinatario cui si intende rivolgersi.
Quale
funzione spetta oggi al critico d'arte e quali obiettivi può e
dovrebbe porsi in relazione al sistema dell'arte? La critica d'arte
può influenzare il mercato?
B.G.: No,
non penso che la critica d’arte possa influenzare il mercato. E poi
l’arte non esiste né funziona esclusivamente nel contesto del
mercato. L’arte si insegna nelle università e nelle accademie. Gli
artisti mettono in campo specifiche strategie e prendono determinate
posizioni politiche e ideologiche all’interno dello spazio
pubblico. Qui il discorso artistico, nelle sue varie forme, diventa
importante.
E che
cosa pensa del ruolo del curatore?
B.G.: Il
ruolo del curatore è senza dubbio cruciale nel mondo dell’arte
contemporanea. Al giorno d’oggi le opere sono esposte
principalmente nell’ambito di mostre definite da specifici progetti
curatoriali. Dunque per un artista è importante trovare un curatore
che possa essere “un’anima gemella” e viceversa.
Pussy Riot Courtesy pussy-riot.livejournal.com |
Crede
possa esistere una storia dell’arte contemporanea? O è un
ossimoro?
B.G.: Sì,
certamente può esistere una storia dell’arte contemporanea, così
come può esistere il museo di arte contemporanea. L'arte
contemporanea accade nel tempo e può quindi essere storicizzata.
Seguendo
questa considerazione, quale scopo dovrebbe perseguire un museo di
arte contemporanea?
B.G.: Il
museo di arte contemporanea fa sì che l'arte contemporanea accada.
L'arte contemporanea non può essere prodotta senza il museo di arte
contemporanea. Gli artisti contemporanei realizzano performance,
mostre temporanee, allestimenti, installazioni sonore e video ecc.
Tutto ciò ha bisogno di un palcoscenico pubblico per essere prodotto
e mostrato. La produzione dell'arte contemporanea coincide con
l'esposizione dell'arte, ecco perché l'arte è contemporanea.
Secondo
lei che cos'è oggi l'«Art Power»? Non pensa forse che il sistema
delle mega-gallerie, dei collezionisti ecc. abbia distrutto la
possibilità per l'arte di essere rivoluzionaria?
B.G.: No,
non credo. Le gallerie, i collezionisti ecc. collezionano oggetti
d'arte. E va bene così. Ma l'arte rivoluzionaria ha sempre prodotto
eventi artistici e questi non si possono collezionare. L'arte non è
un fenomeno unitario. L'arte al suo interno è profondamente
frammentata.
Che
cosa pensa dell'opposizione tra arte impegnata e arte kantianamente
disinteressata?
B.G.: Non
credo esista una simile opposizione. Kant si chiedeva che cosa fare
dei resti della cultura aristocratica distrutta dalla Rivoluzione
francese. Propose perciò non tanto di eliminare, ma semplicemente di
defunzionalizzare questa cultura, interpretandone le manifestazioni
(chiese, oggetti religiosi, palazzi, status symbol) come forme pure,
“neutre”, belle, insomma come arte. Ovviamente un simile
suggerimento presuppose determinate scelte politiche: l'accettazione
della Rivoluzione francese e dei suoi risultati, l'interesse a
consentire l'accesso della borghesia ai residui della cultura
aristocratica ecc.
La
scena concettuale russa storica quanto influenza la situazione
artistica attuale nel Paese e qual è la sua opinione sui recenti
fatti di censura di cui le Pussy Riot sono forse l'esempio più
clamoroso?
B.G.: Gli
artisti russi contemporanei considerano gli artisti del
concettualismo moscovita come la generazione dei loro padri, ossia
con un misto di rispetto e complesso edipico. Oggi le politiche
culturali russe ufficiali diventano sempre più conservatrici e
restrittive. Sì, la saga delle Pussy Riot è un buon esempio di
questo andazzo.
(ringrazio per la cortese collaborazione Marco Enrico Giacomelli)
***Intervista rilasciata il 2 novembre 2013
pubblicata in Artribune Magazine #17, gennaio-febbraio 2014 e in www.artribune.com, 20 febbraio 2014***
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***Interview released on November 2nd, 2013
published in Artribune Magazine #17, January-February 2014 and in www.artribune.com, February 20th, 2014***
pubblicata in Artribune Magazine #17, gennaio-febbraio 2014 e in www.artribune.com, 20 febbraio 2014***
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(original English version)
Following
the German edition of 2009, this year Mimesis Publisher released the
italian translation of Einführung
in die Anti-Philosophie
(Introduzione
all'antifilosofia,
curated by P. Perticari, trans. by S. Franchini), a selection of
essays by Boris Groys, media theorist and philosopher listed among
the most influent personalities of contemporary art in last year
ArtReview top hundred.
Inspired
by the reading of the text, where the reflection on contemporary art
becomes a mean of research to present under a new light the thought
of some of the major philosophers and thinkers such Heidegger,
Benjamin, Kierkegaard, Jünger, McLuhan and Derrida – just to
mention a few –, we have asked the author to answer some questions.
Professor
Groys, in your essays you speak about anti-philosophy, could you
please shortly define it? Which is the relationship between
anti-philosophy and anti-art?
B.G.:
Art was for a long time considered as a manifestation of the eternal
idea of Beauty. And philosophy was considered as a manifestation of
the universal Reason. But then art (as anti-art) has included figures
of desire, suffering, destruction, dynamism but also everyday life
and ordinary boredom. Also the philosophical discourse began to get
involved with elan vital, death wish, fundamental boredom, sacral
ecstasy, linguistic structures, production forces and many other
similar things. These developments implied a critique of the
traditional notion of philosophy and art but they lead also to an
expansion of the artistic and philosophical fields.
Would
you define yourself as an anti-philosopher?
B.G.:
Actually, I would not. I comment on certain developments an art and
philosophy but I do not necessarily take positions inside the
philosophical or artistic fields.
Often,
reading your essays, one might have the feeling that you are not
using philosophy to explain art but precisely the opposite. Is it
true?
B.G.:
Well, I think that the relationship between philosophy and art is
analogous to the relationship between theoretical and experimental
sciences. Art performs certain philosophical, ideological, political
positions – and shows what does it mean not only to think these
positions but also to live by and through them. In this respect, yes,
art often offers interesting lessons for philosophical thinking.
In
your view, what is contemporary art criticism? Does the difference
between aesthetics and art criticism reflect the distinction you
propose between philosophy and anti-philosophy? Is it possible today
to delimitate a “field” of the art criticism?
B.G.:
I do not believe that today all these differentiations and
distinctions are really relevant. Operating in the artistic and
discursive fields one can write philosophical, theoretical or art
critical texts, one can be curator, editor or artist. The choice of
media and frameworks depends on what one wants to say and how and to
whom one wants to address what one wants to say.
Nowadays
what is the role of the art critic and which aims he/she could and
should have with regard to the art system? Can art criticism
influence the market?
B.G.:
I do not believe that the art critic can influence the art market.
But art does not exist and function only in the context of the art
market. Art is taught at the universities and art school. Artists
practice certain strategies, take certain political and ideological
positions inside the public space. Here the art discourse – in its
different forms – becomes important.
And
about the curator role, what do you think?
B.G.:
The role of the curator is, of course, crucial for the contemporary
art world. Today, artworks are shown mostly in the framework of the
exhibitions that are defined by certain curatorial projects. So for
an artist it is important to find a curator that could be a kindred
spirit– and vice versa.
Do
you believe that a history of contemporary art can exist? Or is it an
oxymoron?
B.G.:
Yes, of course, the history of contemporary art can exist – as also
the museum of the contemporary art can exist. Contemporary art
happens in time – and thus can be historicized.
Following
this consideration, which aim should a contemporary art museum have?
B.G.:
The contemporary museum lets contemporary art happen. Contemporary
art cannot be produced without the museum of contemporary art.
Contemporary artists stage performances, temporary exhibitions,
installations, video and sound installations etc. All that needs a
public stage to be produced and shown. Contemporary art production
coincides with art exhibition – that is why this art is
contemporary.
In
your view what is “art power” currently? Don't you think that the
system of mega-galleries, collectors etc. has destroyed the chance
for art of being revolutionary?
B.G.:
No, I do not think so. Galleries, collectors etc. collect art
objects. And it is OK. But revolutionary art always produced art
events – and they cannot be collected. Art is not a unified
phenomenon. Art is in itself deeply divided.
What
do you think about the opposition between engaged art vs neutral art,
in a kantian sense?
B.G.:
I do not believe that such an opposition exists. Kant thought about
what to do with the remnants of the aristocratic culture after it was
destroyed by the French revolution. So Kant proposed not to destroy
but merely to defunctionalize this culture interpreting its phenomena
(churches, religious objects, palaces, status symbols) as pure,
“neutral”, beautiful forms – as art. Of course, this suggestion
presupposed some political choices: acceptance of the French
revolution and its results, interest in making possible an access of
bourgeoisie to the remnants of the aristocratic culture etc.
How
much does conceptual historical russian art influence the current
artistic scene in the Country and what do you think about the recent
acts of censorship (for instance the case of Pussy Riot, maybe the
most emblematic)?
B.G.:
Contemporary Russian artists consider the artists of the Moscow
conceptualism as their father generation. Thus, with a combination of
respect and Oedipal complex. Today, official Russian cultural
politics becomes more and more conservative and restrictive. Yes,
Pussy Riot saga is a good example of this development.
(Thanks to Marco Enrico Giacomelli for his friendly collaboration)
published in Artribune Magazine #17, January-February 2014 and in www.artribune.com, February 20th, 2014***