air balloon, 2010, tecnica mista su carta, 36,5x44 cm courtesy l'artista |
Il romanzo di Ian
McEwan Enduring love inizia con il ricordo di un picnic e
l'incontro, rocambolesco nonché foriero di conseguenze
imprevedibili, con un pallone aerostatico. Dal flashback della
tragica morte di un uomo, precipitato da una mongolfiera poiché
rimastovi aggrappato troppo a lungo nel tentativo di trattenerla a
terra, si dipana una vicenda che sembra sviluppare in modo più
profondo il significato metaforico racchiuso in quel drammatico gesto
inaugurale: l'indugiare nell'attaccamento a qualcosa nella tensione tra sopra e sotto, cielo e terra, prima e adesso, ovvero le dimensioni propriamente figurative della memoria e dell'utopia.
Analogamente alle speranze, i ricordi possono essere zavorre che ci impediscono di spiccare il volo, oppure potenze più forti e grandi di noi, le quali, fuori controllo, ci trascinano inarrestabilmente con loro. Nel migliore dei casi, sono bagagli agili per affrontare ben attrezzati le esperienze della vita.
È
questo il caso di Enrico Tealdi che, a dispetto della sua giovane
età, viaggia portando con sé valige colme di ricordi. È cresciuto
in una grande cascina d'inizio Novecento, che ancora oggi ospita il
suo studio, dove le generazioni, nell'alternanza di travagli e
riscatti, si sono avvicendate intrecciandosi le une alle altre, dove
gli oggetti del passato si sono accumulati accanto a quelli del
presente e le storie di una volta si sono impresse nella mente di chi
vi abita, indicando spontaneamente un cammino per l'avvenire.
Le
immagini dell'infanzia, propria o dei famigliari, scorrono come
paesaggi dal finestrino di un treno, ora scivolando via, ora restando
impresse sulla carta, custodite all'interno di vetri macchiati e
cornici abbruciacchiate. Dallo scrigno del passato prossimo l'artista
estrae ricordi, recupera sensazioni quasi fossero souvenir, salva
istanti. Lavora in modo metodico, scientifico, per serie. Ogni opera
è il tassello di una raccolta, e ogni raccolta è legata all'altra
dal filo della memoria. Un filo sottile, però, come quello
che spesso compare nei suoi disegni: tra le mani delle persone,
attorcigliato tra le gambe dei mobili o penzolante tra due
finestre; un filo che un soffio di vento basterebbe a spezzare. Le
mongolfiere che nei dipinti di Tealdi sorvolano cieli sabbiosi sono
le stesse che l'artista bambino vedeva librarsi sopra i prati del
cuneese. Esili funicelle le congiungono reciprocamente, oppure, come
nastri raminghi, si perdono in un altrove indistinto esterno alla
superficie fisica del quadro. Non è possibile aggrapparvisi, né per
gioco né per trattenerne il volo. Che si tratti forse di ciò che
Freud chiamava “fili mentali” (Gedankenfäden)? Ovvero
liaisons non meramente ideali tra
passato remoto e adesso, tra infanzia ed esperienza odierna, che si
fanno immagine tra pensiero e disegno, tra cervello e
gesto artistico?
L'opera
di Tealdi, pur sviluppandosi in rapporto al passato, espelle la
temporalità, troncando il flusso storico esterno oggettivo e
cancellando ogni tensione rispetto all'avvenire. Diversamente dal
francese Christian Boltanski, che pure ha fatto della memoria il
fulcro del proprio lavoro, Tealdi non ha una vocazione documentale né
una prospettiva diacronica; le sue “memorie” sono fatti privati
che non cercano l'universalità e tuttavia la raggiungono per vie
inafferrabili, attraverso un linguaggio semplice ed evocativo,
smuovendo con delicatezza immagini, oggetti e materiali noti, sepolti
nelle pieghe profonde del vissuto personale di ciascuno: non “merci”
morte, ma “cose” vive in senso rilkiano e heideggeriano. La
stessa semplicità espressiva di cui Tealdi si serve caratterizza,
del resto, uno dei concetti portanti della temporalità
psicoanalitica freudiana: tracce (o impronte) del ricordo.
Freud sembra alludere con gergo popolare all'idea che i ricordi, in
noi, siano calchi delicati, appena percepibili, che può rintracciare
solamente chi conosce perfettamente il territorio interiore per
averlo percorso in continuazione tutta una vita, cercando impronte e,
al contempo, lasciandone a sua volta, consapevolmente, di fresche.
Il
senso di malinconia, lieve e dal sapore dolce, insito nella
dimensione del ricordo rasserenato, trasmessoci dai lavori di Tealdi,
è probabilmente dovuto a una sorta di ruvidità (propria non solo
delle immagini rappresentate ma anche dei supporti utilizzati), alle
loro tonalità naturali, terrose, nonché a una materia scabra e
imperfetta, che lo avvicina esteticamente alla pittura di un Anselm
Kiefer pacificato. Quel sentimento di malinconia, però, non sconfina
mai, per Tealdi, nella disperazione o nell'inquietudine tipica di chi
invece si sente perduto senza quel passato perché avverte tutta la
propria inadeguatezza rispetto al vivere hic et nunc.
L'aderenza, l'adesione, il “restare aggrappati”, temi cruciali
della sua poetica, non hanno qui la stessa valenza teorico-estetica
né il drammatico esito che possiedono, per esempio, in Franz Kafka,
dove, come ci ricorda con acume Walter Benjamin, la tristezza e la
tragicità hanno un'origine inequivocabile. Nell'infanzia.