Filippo Leonardi, La natura ama nascondersi, 2012 courtesy www.parcoartevivente.it |
Non
solo per il senso comune, ma anche per una lunga tradizione
filosofica, il termine “naturale” è
considerato l'opposto di “artificiale” ovvero “culturale”.
Che cosa succede però quando si fa più labile il supposto confine
tra natura e artificio tecnico, tra natura e civiltà lato sensu
– un confine originario sul quale, ricordiamolo, si fonda il
pensiero occidentale –, quando addirittura non è più possibile
distinguere tra i due termini ritenuti antitetici, perché la linea
di confine diventa una fascia, una zona indistinta, una no man's
land filosofica? Collocarsi in questo ”tra”, in questa terra
di nessuno, dando in un certo senso realizzazione al pensiero nomade
di Gilles Deleuze, non manda forse in pezzi un'intera matrice
culturale? Questo è solo uno dei quesiti stimolati dalle opere dei
sedici artisti in mostra al PAV fino al 29 settembre.
Già
il titolo della mostra è una dichiarazione d'intenti:
Internaturalità suggerisce infatti l'esistenza di più
definizioni di natura, che talvolta, e qui in particolare, intendono
entrare in reciproca connessione. Tale moltiplicazione delle
prospettive sgretola, o quanto meno relativizza, il concetto unico e
monolitico di Natura, sostituendolo con tante idee di natura quante
sono le culture oppure i punti di vista espliciti o ancora gli scopi,
spesso reconditi, della definizione stessa. Il curatore, Claudio
Cravero, ha selezionato una serie di sguardi e riflessioni,
eterogenea rispetto sia ai media impiegati sia ai riferimenti teorici
di partenza. Su tutto però
domina, ci sembra, la necessità di abbandonare una visione frontale,
ingenua e spontanea del rapporto uomo/natura o natura reale/natura
rappresentata, e di adottare uno sguardo laterale, anamorfico, più
astuto e forse più ironico. Ciò colloca le varie opere esposte in
una dimensione squisitamente concettuale.
Molto
rappresentativa, in questo senso, Colombaia mobile
(2012-2013)
l'opera di Filippo Leonardi che ci costringe a riconoscere il
mutamento intervenuto in pochi decenni nella nostra percezione del
piccione: da animale nobile e utile, indispensabile prima
dell'avvento delle telecomunicazioni radio-telefoniche, a odierna
piaga urbana da debellare. Nel volo di ritorno alla colombaia dei
piccioni viaggiatori, filmato da una videocamera, Leonardi condensa
poi una molteplicità di considerazioni sulle incredibili e sovente
invisibili “abilità” degli animali, sulla relazione
utilitaristica tra uomo e animale, ma anche sul repentino cambiamento
della nostra sensibilità al venir meno di quella relazione. A
dispetto della visibile frontalità espositiva, una simile lateralità
prospettica e concettuale caratterizza anche la “litoteca” di
Caretto e Spagna (Corpo Esteso, 2013), una raccolta di oggetti
naturali, artefatti e ready-made, preziosi e poveri, che
volutamente si mescolano, si e ci confondono, disorientando le nostre
coordinate sul valore delle cose: reale, intrinseco, oppure ideale,
esogeno. Alla confusione percettiva tra natura autentica e natura già
asservita e manipolata, “costruita” e sofisticata per gli scopi
più disparati, ma principalmente a fini commerciali, è dedicata
l'emblematica installazione a parete Shelf life (2011)
di Uli Westphal, cinque neon
come quelli utilizzati nei supermercati per rendere esteticamente più
appetibili, più “naturali” e fresche le carni e le verdure in
vendita.
Con
il neon è realizzata anche la scritta eraclitea La natura ama
nascondersi (2012), l'altra opera in mostra di Filippo Leonardi, una formula di benvenuto
che, collocata in posizione decentrata e poco appariscente sopra la
porta di accesso al PAV, sembra voler dare compimento al proprio
predicato, nascondendosi appunto, proprio come la natura, agli occhi
dei visitatori, le cui profondità psicologiche, così come i
dinamismi fisiologici (la “natura” in noi), sono celati dalle
forme esteriori e visibili, sepolti sotto gli strati della cultura
appresa, e che richiedono appunto, per essere colti, un enorme sforzo
di ricerca e una percezione meno grossolana, meno scontata.
L'attitudine
della natura, che può essere sublime, come vide Kant, ma mai
monumentale né celebrativa, nemmeno nelle sue manifestazioni più
eccezionali, è condivisa, a ben vedere, da quasi tutte le opere
esposte (prive di eccessi, minimaliste in quanto tendenti al minimo
impatto visivo, ecologico ed economico), ma risalta maggiormente
nelle ricerche di Luana Perilli (108, 2013) e dello svedese
Henrik Håkansson (The
hoverfly, 2002) che
esibiscono la vita di insetti eusociali, non certo monumentali, al
contrario umili e laboriosi (almeno nel nostro immaginario), come
formiche e api. Luana Perilli, in particolare, traduce a
livello estetico uno studio sociobiologico sui collettivi non
ideologizzati come macro organismi teoricamente immortali, utopici e
originari modelli di convivenza in tempi di crisi e di radicale
individualismo.
Ci
sembra infine che le opere siano tutte connotate dal medesimo
approccio, essenzialmente positivo e propositivo, che tuttavia
manifesta il limite di rinunciare a un'antropologia negativa,
presupponendo (in maniera poco dialettica) un'idea solo ottimistica,
roussoviana di ambiente; una natura cioè dal volto benigno, docile,
una vecchia Madre serena e prodiga da tutelare e magari imitare,
obliterando la Matrigna, ossia i tratti ferini e brutali della sua
azione spietata, a partire dai quali la specie homo, animale
debole da sempre obbligato a proteggere sé e i suoi simili dai
numerosi pericoli circostanti, ha dato avvio alla sua evoluzione
tecnica e culturale. Nella nostra quotidianità di cittadini inurbati
in territori del tutto artificiali, in cui la natura è stata
completamente domata dalla tecnoscienza, è ormai praticamente
sparito il contatto con il lato
oscuro, il “cuore di tenebra” della natura. Ma quando esso
si manifesta, non può che assumere forme catastrofiche.