Fabio Marullo, Aprirci all’enigma dell’essere, 2015 olio su lino, 140x100 cm, courtesy l’artista |
Definiamo
liminare
la pittura di Fabio Marullo, poiché sembra attingere le sue migliori
energie allo spazio-tempo nebuloso
e incerto che precede il risveglio, quando ancora la mente indugia
nella logica farraginosa del sogno, ma già iniziano a farsi strada i
primi pensieri lucidi e le percezioni nitide del reale; oppure, al
contrario, a quello complementare della veglia che precede il sonno,
quando la coscienza cerca ancora di aggrapparsi a scampoli di
sensatezza senza riuscire
a frenare l’inesorabile
scivolamento nell’irrazionale, quando i sogni compaiono nella
nostra realtà e la contaminano con sprazzi di assurdo.
Uno stadio
non del tutto onirico – e proprio per questo non abbastanza
esplorato dai surrealisti, maggiormente concentrati sulle produzioni
più bizzarre del sonno profondo –, ma uno «stato dei sensi e
dell’anima», come lo chiama Puškin, «in cui la realtà, cedendo
alle fantasticherie, si fonde con esse nelle indistinte visioni del
primo sonno» (La figlia del
capitano).
In
questo senso, le opere di Marullo, così come molti romanzi di
Vladimir Nabokov, altro
grande scrittore di origine russa, sembrano rispecchiare la logica
del cosiddetto nastro
di Möbius,
dove non è identificabile il bordo, il limite divisorio tra due
facce distinte e, convinti di procedere in una dimensione, si entra
improvvisamente, senza rendersene conto, in quella opposta, catturati
nello «stato di beatitudine in cui qualunque stranezza scende tra di
noi come un semidio che si mescola alla folla domenicale» (Nabokov,
Il
dono).
La
scintilla per una nuova opera, come spiega l’artista stesso,
scaturisce sempre da un sentimento di infatuazione per un paesaggio
reale, pretesto per «rendere visibile l’invisibile» attraverso la
pittura. Ciò nonostante Marullo
non
pratica affatto un’arte “di pancia”, bensì una pittura
mentale, molto meditata. La
delicatezza dei tratti, la parsimonia cromatica nonché la selezione
e composizione delle figure dipinte suggeriscono la mancanza di
un’espressione incontrollata dell’impeto creativo e al contempo
rivelano un processo di razionalizzazione di quel primigenio impulso
interiore. Alla fine ciò che ancora traspare del paesaggio è
l’atmosfera, il colore, la luce. «Il paesaggio è come un
fantasma», afferma l’artista, «inconsapevolmente tutto viene
condizionato dallo spirito del luogo, in quanto unico e
irripetibile». Analizzando la sua produzione, di cui
l’opera qui presentata è rappresentativa, si potrebbe sostenere che
in quella zona indeterminata descritta in apertura si compia una
strana contaminazione tra temi
figurativi riconducibili al genius
loci della Sicilia, terra d’origine
dell’artista, e le atmosfere
palustri o, meglio, lagunari
legate a Venezia, uno dei luoghi della sua formazione.
Tale
tendenza alla razionalizzazione
si rispecchia inoltre nella ponderatezza dei titoli. Per l’artista
le parole sono fondamentali «per dare un senso al lavoro», non per
spiegarlo. I titoli allusivi suggeriscono spesso interrogativi
essenzialmente filosofici o esistenziali, che non rassicurano
l’osservatore. In ciò si potrebbe forse riconoscere un
atteggiamento di ricercatezza
quasi aristocratica,
che traspare anche nella scelta di molti oggetti raffigurati. Ma
l’aristocrazia, nel modo di produzione capitalistico, è diventata
una forma culturale vuota, com’è ampiamente noto, una classe priva
ormai di ogni funzione socio-economica e destinata a estinguersi: la
sua civiltà si è lentamente dissolta nella modernità, in un
processo di declino che nel meridione d’Italia è stato più
vischioso che altrove, come testimonia tanta letteratura siciliana
del Novecento. La produzione di Marullo, solcata da un senso
atemporale di sospensione, malinconia e isolamento, sembrerebbe
tradurre la riflessione sul rapporto tra figurazione e astrazione
collocandosi in una zona liminare anche in senso storico, oltreché
artistico-formale, attraverso una rielaborazione interiore, vissuta
ed elegante, di un tramonto culturale dal sapore (amaro) di una morte
a Venezia.