Der Blick, der ans eine Schöne sich verliert, ist ein sabbatischer. Er rettet am Gegenstand etwas von der Ruhe seines Schöpfungstages. […] Fast könnte man sagen, daß vom Tempo, der Geduld und Ausdauer des Verweilens beim Einzelnen, Wahrheit selber abhängt.

Lo sguardo che si perde nella bellezza di un singolo oggetto è uno sguardo sabbatico. Esso salva nell'oggetto un po' della quiete del giorno in cui è stato creato. […] Si potrebbe quasi dire che la verità stessa dipende dal contegno, dalla pazienza e assiduità con cui si indugia presso quel singolo oggetto.

Theodor W. Adorno

domenica 7 giugno 2015

Fabio Marullo

Fabio Marullo, Aprirci all’enigma dell’essere, 2015
olio su lino, 140x100 cm, courtesy l’artista

Definiamo liminare la pittura di Fabio Marullo, poiché sembra attingere le sue migliori energie allo spazio-tempo nebuloso e incerto che precede il risveglio, quando ancora la mente indugia nella logica farraginosa del sogno, ma già iniziano a farsi strada i primi pensieri lucidi e le percezioni nitide del reale; oppure, al contrario, a quello complementare della veglia che precede il sonno, quando la coscienza cerca ancora di aggrapparsi a scampoli di sensatezza senza riuscire a frenare l’inesorabile scivolamento nell’irrazionale, quando i sogni compaiono nella nostra realtà e la contaminano con sprazzi di assurdo.

Uno stadio non del tutto onirico – e proprio per questo non abbastanza esplorato dai surrealisti, maggiormente concentrati sulle produzioni più bizzarre del sonno profondo –, ma uno «stato dei sensi e dell’anima», come lo chiama Puškin, «in cui la realtà, cedendo alle fantasticherie, si fonde con esse nelle indistinte visioni del primo sonno» (La figlia del capitano).

In questo senso, le opere di Marullo, così come molti romanzi di Vladimir Nabokov, altro grande scrittore di origine russa, sembrano rispecchiare la logica del cosiddetto nastro di Möbius, dove non è identificabile il bordo, il limite divisorio tra due facce distinte e, convinti di procedere in una dimensione, si entra improvvisamente, senza rendersene conto, in quella opposta, catturati nello «stato di beatitudine in cui qualunque stranezza scende tra di noi come un semidio che si mescola alla folla domenicale» (Nabokov, Il dono).

La scintilla per una nuova opera, come spiega l’artista stesso, scaturisce sempre da un sentimento di infatuazione per un paesaggio reale, pretesto per «rendere visibile l’invisibile» attraverso la pittura. Ciò nonostante Marullo non pratica affatto un’arte “di pancia”, bensì una pittura mentale, molto meditata. La delicatezza dei tratti, la parsimonia cromatica nonché la selezione e composizione delle figure dipinte suggeriscono la mancanza di un’espressione incontrollata dell’impeto creativo e al contempo rivelano un processo di razionalizzazione di quel primigenio impulso interiore. Alla fine ciò che ancora traspare del paesaggio è l’atmosfera, il colore, la luce. «Il paesaggio è come un fantasma», afferma l’artista, «inconsapevolmente tutto viene condizionato dallo spirito del luogo, in quanto unico e irripetibile». Analizzando la sua produzione, di cui l’opera qui presentata è rappresentativa, si potrebbe sostenere che in quella zona indeterminata descritta in apertura si compia una strana contaminazione tra temi figurativi riconducibili al genius loci della Sicilia, terra d’origine dell’artista, e le atmosfere palustri o, meglio, lagunari legate a Venezia, uno dei luoghi della sua formazione.

Tale tendenza alla razionalizzazione si rispecchia inoltre nella ponderatezza dei titoli. Per l’artista le parole sono fondamentali «per dare un senso al lavoro», non per spiegarlo. I titoli allusivi suggeriscono spesso interrogativi essenzialmente filosofici o esistenziali, che non rassicurano l’osservatore. In ciò si potrebbe forse riconoscere un atteggiamento di ricercatezza quasi aristocratica, che traspare anche nella scelta di molti oggetti raffigurati. Ma l’aristocrazia, nel modo di produzione capitalistico, è diventata una forma culturale vuota, com’è ampiamente noto, una classe priva ormai di ogni funzione socio-economica e destinata a estinguersi: la sua civiltà si è lentamente dissolta nella modernità, in un processo di declino che nel meridione d’Italia è stato più vischioso che altrove, come testimonia tanta letteratura siciliana del Novecento. La produzione di Marullo, solcata da un senso atemporale di sospensione, malinconia e isolamento, sembrerebbe tradurre la riflessione sul rapporto tra figurazione e astrazione collocandosi in una zona liminare anche in senso storico, oltreché artistico-formale, attraverso una rielaborazione interiore, vissuta ed elegante, di un tramonto culturale dal sapore (amaro) di una morte a Venezia.


***testo pubblicato in GIDM num. 2, vol. 35, giugno 2015***