Letizia Battaglia
Palermo 1980.
Quartiere La Cala
La bambina con il pallone, 1980
Fotografia b/n,
46x31 cm, Ed. 1/8
Courtesy Cardi Black
Box, Milano
Artissima 23 grigio
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L'idea di questa mostra virtuale, la terza dopo le due deviazioni realizzate per ArtVerona 2013, proviene dall'ultimo romanzo di Irène Némirovsky (1903-1942), scrittrice francese di origini ucraine ed ebraiche, intitolato Les chiens et les loups, pubblicato a Parigi nel 1940. Con ispirata eleganza e acume psicologico, l'autrice delinea due tipologie umane classiche, profondamente affini e insieme radicalmente diverse: il cane domestico, obbediente, fedele, mansueto, protettivo, e il lupo selvatico, indipendente, violento, inaffidabile, aggressivo.
«Harry – scrive
Némirovsky
– alzò gli occhi e riconobbe la bambina intravista
due anni prima, la bambina scarmigliata, sudicia di polvere, con le
mani graffiate, che era saltata fuori da un mondo spaventoso,
ripugnante, un mondo di sudore, di sporcizia e di sangue, così
lontano da lui eppure, in un certo modo misterioso e temibile, a lui
affine. Gli si rizzarono i capelli in testa, come a un cagnolino, ben
nutrito e curato, che sente nella foresta l'ululato famelico dei
lupi, i suoi fratelli selvaggi. Indietreggiò di scatto. […] Ai
suoi occhi non rappresentava tanto la povertà, quanto – ed era
questo a farlo tremare davanti a lei – la disgrazia, una disgrazia
stranamente e sinistramente contagiosa, come può esserlo una
malattia». Questi timori tipicamente “borghesi”, questo impasto
emotivo di angoscia e attrazione, negazione e fascinazione di fronte
alla natura selvaggia e al
suo potere seducente, trova una sorta d'icona perenne negli occhi
della ragazzina palermitana immortalata da
Letizia Battaglia nel
1980, nella quale vorremmo vedere incarnata la piccola Ada del
romanzo.
Richard Nonas
Untitled, 1978
ferro
12x7,5x12 cm
Courtesy P420, Bologna
Artissima 28 grigio
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Sovente
utilizzate da favolisti, filosofi, scrittori, registi e artisti come
metafore o allegorie dell'umano, le figure del cane e del lupo
rimandano, in
primo luogo, a una matrice
zoologica comune, a quel punto originario, primordiale, dove la specie canis
risulta ancora indifferenziata e dalla quale si ramificheranno gli
esiti evolutivi successivi: lupo, sciacallo, coyote, cane ecc.,
quest'ultimo soggetto a un lungo processo di domesticazione iniziato
già dai cacciatori del paleolitico superiore e definitivamente
compiutosi con i contadini sedentari neolitici, il che ha dunque
profondamente legato l'animale non solo alla caccia – non a caso in
greco antico «caccia» e «cane» hanno la stessa radice etimologica
–, ma anche e soprattutto alla civiltà agricola e stanziale, alle
greggi e alla pastorizia. La scultura di
Richard Nonas
(Untitled,
1978), con la
sua forma archetipica dall'aura mitologica, rievoca appunto
quell'unica origine lontana, indistinta.
Questa profonda affinità,
la remote kinship evocata
anche da Joseph Conrad in Cuore di tenebra,
produce, in secondo luogo, una costante tensione tra cani e
lupi, attiva cioè una forza misteriosa e invisibile, che trae
indietro il cane – setting his face toward the dephts of the
wilderness, direbbe ancora Conrad –, facendolo regredire ai
primordi e vanificando in un batter di ciglia l'enorme e lungo sforzo
d'incivilimento. Altre volte, invece, quella forza spinge avanti il
lupo verso la civiltà, presso la domus:
cuccia tiepida e ciotola piena in ogni stagione. Il processo
di domesticazione è dunque sempre incompiuto perché in realtà è
una soglia metafisica, un ponte stretto e fragile, dove singoli
esemplari transitano continuamente in entrambe le direzioni,
lasciando un residuo permanente dietro e dentro di sé, di cui
però si serba solo una confusa memoria. Essa si schiarisce soltanto
in particolari momenti, come ricorda Jorge Luis Borges nel racconto
Biografia di Tadeo Isidoro Cruz:
«Qualunque destino,
per lungo e complicato che sia, consta in realtà di un
solo momento: il momento in cui
l'uomo sa per sempre chi è». Il protagonista, incarcerato per un
omicidio e punito con il servizio militare obbligatorio, tornato alla
vita civile diventa capo della locale gendarmeria, ma durante la
cattura di un altro malfattore e disertore accade l'imprevedibile:
«Mentre combatteva nell'oscurità (mentre il suo corpo combatteva
nell'oscurità), cominciò a comprendere. Comprese che un destino non
è migliore di un altro, ma che ogni uomo deve compiere quello che
porta in sé. Comprese che le spalline e l'uniforme ormai lo
impacciavano. Comprese il suo intimo destino di lupo, non di cane da
gregge».
Mat Collishaw
Children of a Lesser
God, 2007
Lightbox
180x190x20 cm (circa)
dalle collezioni del
museo
Courtesy GAM, Torino
Artissima Musei in Mostra
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Questa connaturata ambivalenza della coppia cane-lupo, la cui forza simbolica e primigenia investe in pieno la definizione di “natura umana”, trova il suo simbolo letterario più fulgido nella sorte speculare dei due cani più famosi usciti dalla penna di Jack London: Buck, il cane protagonista di The Call of the Wild (1903), che si unisce ai lupi, e White Fang (1906), il lupo che si lega al difficile e brutale mondo umano, spesso non meno violento di quello selvaggio. Una recente rielaborazione di questa ambigua relazione dialettica è raffigurata con eleganza Biedermeier e con subliminale violenza da Mat Collishaw nell'opera Children of a Lesser God (2007). Nello squallore urbano e nel degrado morale che costituiscono uno dei lati selvatici della nostra civiltà occidentale ovvero occidentalizzata, i due neonati (evidente allusione a Romolo e Remo) sono tutelati (e accerchiati) da due cani-lupo, i quali, sostituendo la mitologica bestia all'origine della latinità, rispecchiano il duplice istinto, protettivo e insieme aggressivo, che continua a connotare la loro intima natura.
Chiara Camoni
Autoritratto/Self-portrait,
2013
video, digital
transcription of Super-8 film
3:26 min, loop
Courtesy SpazioA
gallery, Pistoia
Artissima A9 rosa
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Per Dybvig
Hunter Hare Dog,
2009/2010
DVD, 06:51 min
Courtesy Christine
König Galerie, Vienna
Artissima 10 bordeaux
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Mirabilmente descritto
nel romanzo breve di Thomas Mann Padrone e cane (1918) e
ripreso nel video intimista e personale di
Chiara Camoni (Autoritratto,
2013), il forte legame di fedeltà che può instaurarsi
tra uomo e cane vive in una natura benigna, ordinata e domata,
associata a luoghi familiari, accessibili, “trasparenti”. I
delicati e luminosi boschetti in miniatura realizzati da Christiane
Löhr (Drei
Kuppeln,
2008) ben
rappresentano le
mete predilette per le consuete passeggiate del protagonista col suo
cane Bauschan descritte da Mann. La cuccia di Bauschan, tuttavia, in
una casa ai margini della città, si trova, a sua volta, al limitare
del bosco, dove l'animale ama dedicarsi alla caccia più sfrenata,
destando l'orrore e lo sgomento del tranquillo padrone. Anche Henry
David Thoreau, nel suo ritiro incantato presso il lago Walden, di cui
la surreale e strampalata video-animazione di Per
Dybvig (Hunter
Hare Dog, 2009-2010)
sembrerebbe
offrire una spiritosa raffigurazione, nota l'influenza del luogo
selvaggio sul comportamento dei cani: «Talvolta
udivo una muta di cani da caccia che correvano in lungo e in largo
per tutti i boschi, con grida e latrati pressanti, incapaci di
resistere all'istinto […] I boschi vicini risuonavano tutti,
attraverso gli alberi, di quel gridare demoniaco»
(Walden
ovvero Vita nei boschi,
1854).
Zoe Leonard
Charlie's Moose,
1995/98
gelatin silver print
58,4x87 cm (Paper:
65,4x94) Ed 6
Courtesy Galleria
Raffaella Cortese, Milano
Artissima
5 viola
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Armin Linke
Ice pack Artic North
Pole, 2001
stampa fotografica su
alluminio
100x200 cm
Courtesy Vistamare,
Pescara e l'Artista
Artissima
7 bordeaux
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La domesticazione
interiore dell'uomo, il suo incivilimento, strutturalmente precario,
procede infatti in simultanea con la bonifica della wilderness
esterna attraverso le coltivazioni, l'inurbamento, la deforestazione
ecc. Ma il solo contatto con i rari luoghi selvaggi risveglia, nel
cane come nell'uomo, il residuo di lupo che cova latente dentro il
suo essere. In determinate condizioni e circostanze, infatti, le
frontiere categoriali, altrimenti così nette, sfumano: là si
nasconde la «disgrazia», là avviene quel «contagio» evocato
dalla Némirovsky. Questa «malattia» è
il grande tema di Heart of Darkness, ma anche il nodo
problematico affrontato genialmente, per esempio, da Hermann Hesse
nel Lupo della steppa o da Jack London nei suoi romanzi
maggiori. Il “richiamo della foresta” regressivo e insieme
liberatorio è rievocato crudamente
dalla fotografia scattata in Alaska da Zoe
Leonard (Charlie's
Moose,
1995/98), così come
dalle distese
polari, regno del Siberian Husky – il celebre cane da slitta dai
tratti ancora ferini –, splendidamente immortalate da
Armin Linke (Ice pack
Artic North Pole, 2001).
Ana Vieira
Santa Paz Domestica
Domesticada, 1977
Installazione, materiali
vari
dimensioni variabili
Courtesy Galeria Graça
Brandão, Lisbona
Artissima
16 grigio
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Dalla
fine del XIX secolo, la diffusione imperialista del progresso su
scala planetaria ha sradicato sempre più estesamente la “foresta”
fuori di noi, riducendo le occasioni perché il “lupo” dentro di
noi trovasse modo di manifestarsi. Ma proprio
in quel momento, Sigmund Freud scoprì, attraverso i suoi pazienti
nevrotici, tra cui un uomo dei lupi,
che l'intimo residuo di wilderness
in noi si cela nella sessualità, nella foresta interiore
dell'inconscio, nelle profondità biopsichiche del corpo, rimaste per
tutto il Novecento e fino all'inizio degli anni Ottanta (grazie alla
politicizzazione della psicoanalisi) l'ultima roccaforte
dell'inquietudine borghese: la valenza selvaggia e istintuale della
libido, che alimenta costantemente il sostrato simbolico
dell'inconscio e la cui repressione è fonte di malattia e disagio,
aveva già trovato nella novella La Lupa
(1880) di Giovanni Verga un'immagine di rara efficacia poetica e
tragicità: «Al villaggio la chiamavano la Lupa
perché non era sazia giammai di nulla. Le donne si facevano la croce
quando la vedevano passare, sola come una cagnaccia, con quell'andare
randagio e sospettoso della lupa affamata». L'affrancamento
dell'erotismo dalla morale tradizionale è stato non solo motivo
ispiratore dell'arte e della letteratura del Novecento, ma anche
strumento di emancipazione sociale, culminata nella nuova
consapevolezza dei movimenti femministi negli anni Settanta, di cui
l'installazione di
Ana Vieira
(Santa
Paz Domestica Domesticada,
1977), associando alla donna la sfera domestica
come dispositivo di domesticazione,
offre un'illustrazione sintetica e diretta.
Jimmy
De Sana
Mink
Stole, c. 1980
Cibachrome
49,5x33
cm, Edition 2 of 12
WG/SANJ00135
Courtesy
Wilkinson Gallery,
Londra
and the Estate of Jimmy De Sana
Artissima
19 grigio
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Kerstin Von Gabain
Futon #4, 2011
Fotografia b/n
20x30cm (incorniciato
45x55,5 cm)
Ed. 3 + 2AP
Courtesy Gabriele
Senn Galerie, Vienna
Artissima
9 verde
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In
una manciata di anni, tuttavia, l'accento politico sulla liberazione
sessuale è stato rapidamente culturalizzato e privato così del
proprio aculeo rivoluzionario, passando dalla sfera del conflitto
alla dimensione estetica: un fenomeno programmaticamente documentato
dalle lungimiranti fotografie di Jimmy
de Sana
(Mink
Stole,
c. 1980).
Le
espressioni della libido,
teatralizzate
e sfruttate come prodotto sotto-culturale dall'industria dello
spettacolo,
ostentate a fini consumistici e, con lo scoppio dell'epidemia di
Aids, medicalizzate per il controllo sanitario, hanno cessato di
essere l'ultima foresta, l'estremo rifugio del “lupo”. Ogni
Stato, nato storicamente e concettualmente dall'abolizione della
condizione selvaggia di homo homini lupus,
cerca costantemente di costringere la libido e disciplinarla entro
limiti ritenuti tollerabili e compatibili con il “sano” e
crescente consumo di merci, anch'esso ovviamente indotto e
incentivato da stimoli erotici, come sa ogni pubblicitario: una
sessualità latentizzata, dunque, che vorrebbe esprimersi ma è
legata, proprio come il materasso di Kerstin
von Gabain
(Futon
#4,
2011),
oggetto
con il quale, al di là delle intenzioni esplicite dell'artista,
l'erotismo ha simbolicamente un rapporto elettivo.
Francesco Jodice
What we want,
Jerusalem, R31, 2010
incorniciato, 100x130 cm,
Ed. 8+1a.p.
Courtesy Podbielski
Contemporary, Berlino
Artissima
13 verde
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Marcel Dzama
Untitled
acquerello
su carta
Courtesy Galleria InArco,
Torino
Artissima 15 turchese
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Ulay
There
is a Criminal Touch To Art, 1976
Film
stills from the Berlin action
P.E
print hand coloured #15 of 18
Courtesy
l'artista
e MOTInternational,
Londra/Bruxelles
Artissima
5 grigio
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Hu Yun
Buy us, Burn us, Free us, 2010
cera, cerini, matita
Courtesy Aike-Dellarco, Shangai
Artissima 6 blu
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La
violenza drenata e monopolizzata dallo Stato grazie agli organi di
polizia, all'esercito, alla morale perbenista – la graffiante
fotografia di Francesco
Jodice (What
We Want, Jerusalem, R31,
2010)
ha il pregio teorico
di riunire l'obbedienza del militare alla funzione pastorale del
religioso – è artificiale, sempre calcolata, regolata e
“organizzata”, proprio come quella della criminalità, mentre la
violenza del lupo è diretta, solitaria, spontanea e rischiosa perché
contingente (come ci ricorda con ironia e leggerezza il bandito di
Marcel
Dzama). Essa
introduce caos e sgomento nell'ordine del discorso conformista, come
mostra la provocatoria Aktion
di Ulay
del 1976 (There is a Criminal Touch
To Art):
il furto di uno Spitzweg dalla Nationalgalerie di Berlino.
Analogamente, con un gesto meno eclatante ma
altrettanto dissacrante, l'artista cinese Hu
Yun chiede
al collezionista di liberarlo dal guinzaglio del mercato (Buy
us, Burn us, Free us,
2011).
FAMED
FREEDOM SUCKS,
2013
Incisione su pannello in
gesso
150x90 cm, incorniciato
Courtesy ASPN Galerie,
Lipsia
Artissima
11 nero
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Vorremmo
concludere il nostro percorso con una domanda semplice e diretta:
dove si nasconde oggi il lupo? Dove ritrovare quella wilderness
che sembra evaporata nel nulla? È possibile che l'umanità intera si
adatti a vivere conformemente all'obbedienza e alla fedeltà del cane
da pastore? La foresta morta, fotografata in Siberia nel 2007 da
Darren Almond,
sembra la
perfetta raffigurazione del panorama attuale: scacciati i lupi
subentra una statica desolazione priva di slancio. Infine,
l'incisione monumentale ma anti-celebrativa FREEDOM SUCKS
del collettivo Famed
(2013) non intende denigrare ciò
che Conrad definì a thing monstrous and free,
ma critica frontalmente la libertà condizionata e politicamente
corretta del cane addomesticato, già parodiata alla fine degli anni
Sessanta da Valie
Export
(Mappe
der Hundigkeit,
1968)
con una performance
che conserva tuttora la sua estrema e dirompente attualità.
VALIE EXPORT
Mappe
der Hundigkeit (Sujet B), 1968
Fotografia b/n
80,7x121,5 cm, Ed. 1/3
Courtesy Charim
Galerie, Vienna
Artissima 13 giallo
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scarica la mappa della deviazione >
***articolo pubblicato in www.artribune.com, 10 novembre 2013***
Grazie per la collaborazione a: