B.A.R.L.U.I.G.I. via Brandizzo 31, Torino courtesy Alessandro Bulgini |
Nel
quartiere torinese Barriera di Milano c'è un bar con l'insegna a
testa in giù e una vetrina suddivisa in riquadri come una pagina di
Facebook: è la sede del progetto B.A.R.L.U.I.G.I. o, meglio, del
primo Bar Luigi, in via Brandizzo 31. Qui incontro Alessandro
Bulgini, che in una grande sala con le pareti perlinate ha ormai il
suo "Studio", oltre che una sorta di eclettica e variegata
collezione di opere d'arte.
Alessandro Bulgini: il 24 aprile 2012 scendo di casa ed entro nel mio bar, quello dove faccio di solito colazione, e faccio partire una nuova opera. Abbandono il mio studio per attivare un altro tipo di atteggiamento nei confronti dell'opera.
Per effettuare uno
straniamento tra quel che era e quel che sarà, trasformo il nome
originario in un acrostico, cioè “Bar Luigi” diventa
B.A.R.L.U.I.G.I.: “Base Aerospaziale Ricercatori di Luoghi Utopie
Indipendenti e Geometrie Ignote”.
V. L.:
Cosa significa?
A. B.: Tramite la
forzatura di un nome cerco di raccontare per esteso qual è l'idea
del progetto. B.A.R.L.U.I.G.I. è un luogo sospeso dentro cui si
possono trovare dei ricercatori di luoghi per coltivare utopie
indipendenti caratterizzate da geometrie ignote, cioè dalle
prospettive incerte. É importante sottolineare che si tratta di un
progetto inefficiente, nessuno deve avere aspettative.
Noi produciamo attingendo
alla vita senza forzature, con un contributo da parte di tutti,
naturale, senza alcuna richiesta. Questa modalità d'azione senza
costrizioni genera una resistenza nel tempo.
V. L.:
Quindi, cos'è B.A.R.L.U.I.G.I.?
A. B.: É un'opera
che partendo dalla realtà di uno spazio fisico si dilata e si
espande illimitatamente tramite la rete e il network di altri
B.A.R.L.U.I.G.I., perché la cosa importante, oltre a dichiarare che
questo luogo è uno spazio di accoglienza creativa senza filtri, è
la comunicazione condivisa: la rete utilizzata esclusivamente come
mezzo di comunicazione, non come momento finale, ma come strumento
che annulla le distanze.
V. L.: Ma c'è
stata da parte tua, e se sì quale, una vera e propria azione
all'interno del bar che ha decretato
ufficialmente la nascita dell'opera B.A.R.L.U.I.G.I.?
A.
B.: La prima azione è
stata sedermi all'interno del bar. Diventa un'anomalia, il fatto che
all'interno di un bar presenzi quotidianamente, dalla nove di mattina
alle sei di sera, un artista che opera unicamente relazionandosi con
gli altri, all'interno e all'esterno della rete. Dichiaro “opera
viva” questo progetto, perché accoglie la vitalità di tutti e
perché è in continua trasformazione, io stesso divento parte
integrante dell'opera. All'inizio B.A.R.L.U.I.G.I. è vuoto, io sto
qui in questo luogo periferico di Barriera e incomincio a
relazionarmi con gli avventori che da principio sono quelli del bar
originario e in seguito, artisti (spesso
portando delle opere), curatori,
critici, giornalisti che, sapendo della mia presenza, vengono a
trovarmi. Così si inizia a innescare una relazione più specifica di
dialogo sull'arte tra nuovi e vecchi avventori.
Poi
tramite i social network
questo luogo dimenticato entra in contatto con il resto del mondo.
Il mio obiettivo era di
far crescere una rete che ho chiamato “franchising gratuito” o
“parassitaggio benevolo”. Qualcuno ha letto le mie dichiarazioni
su Facebook e ha cominciato ad accettare questa cosa, questo
B.A.R.L.U.I.G.I. esteso, dove chiunque, accettando alcune minime
regole anti-burocratiche, leggere, può crearsi il proprio spazio di
rappresentazione.
B.A.R.L.U.I.G.I. via Brandizzo 31, Torino courtesy Alessandro Bulgini |
V. L.: Quali sono
queste regole minime?
A. B.: Dunque,
all'inizio eravamo partiti dal bar, subito dopo si è capito che
qualsiasi luogo poteva essere un B.A.R.L.U.I.G.I., perché con
l'acrostico si perde l'idea del bar come funzione primaria.
Bisogna trovare uno
spazio e bisogna trovare un artista visivo che ne diventi il
responsabile per cautelare un possibile proprietario da eventuali
grane. L'artista responsabile deve vivere a pochi metri, diciamo 500,
dal B.A.R.L.U.I.G.I., in modo da garantirne la conoscenza e la
frequentazione. In secondo luogo B.A.R.L.U.I.G.I. deve essere uno
spazio di accoglienza creativa senza filtri, perché, visto che siamo
in uno spazio in prestito, nessuno si deve arrogare il diritto,
idealmente, di fare una selezione.
B.A.R.L.U.I.G.I.
si fonda su gratuità, leggerezza, estensibilità. L'idea è quella
di far assomigliare quest'opera a un organismo. É un progetto
ecologico, perché adopera le risorse preesistenti. Non richiede
impegni né economici né energetici (riscaldamento, elettricità,
ecc.), si limita ad aggiungere un valore ad attività preesistenti
che hanno già un loro consumo.
Qualsiasi luogo può
diventare B.A.R.L.U.I.G.I., perché idealmente tutto il mondo che ha
altre funzioni potrebbe prestarsi per l'arte.
Con
il logo giallo, che diamo nel momento in cui ci si affilia, si
diventa parte di una sorta di catena perfettamente riconoscibile. Tu
sai che in quella macelleria lì col bollo giallo, oltre a vendere la
carne, c'è anche un B.A.R.L.U.I.G.I., cioè un discorso aperto sulle
arti visive. Diventa un marchio di garanzia dell'intenzione da parte
dell'esercente di sensibilizzarsi rispetto a certi argomenti. É come
dire “sì, io ci sto”.
V. L.: Come si fa
a entrare nella rete di B.A.R.L.U.I.G.I.?
A. B.:
Semplicemente, mi si scrive su Facebook e io in cinque secondi faccio
il logo e apro una nuova pagina Facebook che poi deve essere
amministrata dal nuovo responsabile. A oggi ci sono undici
B.A.R.L.U.I.G.I., quelli più lontani sono a Bangkok e a Amsterdam, e
c'è addirittura un intero paese, Camo, vicino a Alba.
V. L.: E a Torino
quanti B.A.R.L.U.I.G.I. ci sono?
A. B.: Sei. Questo
che è la base; poi l'Accademia di Belle Arti; via Cervino 9;
un'abitazione privata che ha messo a disposizione due pareti; la
libreria AZ in San Salvario; e infine una macelleria.
V. L.: Restiamo a
Torino, quali sono gli eventi in corso?
A.
B.: in via Cervino 9 si
sono incontrate tre artiste: Maria Crocco, fotografa, Ada Mascolo,
pittrice e Delfina De Pietro, pittrice ma che fa anche scultura. Mi
fa molto piacere che abbiano accolto B.A.R.L.U.I.G.I. come
opportunità di confronto non solo tra di loro, ma anche con lo
spazio che in questo caso è un bar con tutto quello che concerne un
bar, l'arredamento, le caramelle, i giochi per bambini ecc.
Ada Mascolo, fotografia di Marco Saroldi |
Delfina De Pietro, fotografia di Marco Saroldi |
Maria Crocco, fotografia di Marco Saroldi |
V.
L.: E qui in via
Brandizzo?
A.
B.: Qui c'è un
fotografo, Gepe Cavallero, con un lavoro del 1986 stampato in
cibachrome. É un lavoro che parla del luna park ed è parte di una
serie di operazioni che lui ha portato avanti in quel periodo
raccontando tramite la fotografia i luoghi di aggregazione.
V.
L.: E poi c'è la
macelleria?
A.
B.: Sì, presto partirà
questa ulteriore operazione dentro la macelleria, sempre qua vicino.
Abbiamo
già aperto la pagina Facebook, l'artista è un giapponese, si chiama
Kimitake Sato e sta ancora lavorando al progetto.
V. L.: Ti
faccio un'ultima domanda, un po' provocatoria. Non
ho potuto fare a meno di notare che, prima, hai usato
l'espressione “opera viva”. Tanto per mettere il coltello nella
piaga, come si è conclusa la questione
tra te e Lavazza sull'attribuzione del titolo?
A
.B.: Dunque, la risposta
ufficiale che posso dare è unicamente questa: «A seguito di un
confronto tra la società Lavazza e l'artista Alessandro Bulgini,
artista noto per l'utilizzo di Facebook e dei social network,
relativamente all'utilizzo del nome “opera viva”, le parti hanno
concordemente stabilito di attribuire al 2013 Lavazza
Social Calendar unicamente il
titolo 1/365 scelto
dal suo ideatore Marco Brambilla, con cessazione dell'uso di “opera
viva”.»
Questa
è l'unica cosa che posso dire, poi se uno fosse interessato a sapere
come sono andate le cose basta che si informi su internet. Io in
proposito non posso aggiungere altro.
(Torino, 26 luglio 2013)
***testo pubblicato in www.artribune.com, 7 settembre 2013***