senza titolo, 2010, tecniche miste su lino, 100x80 cm courtesy l’artista |
La rappresentazione botanica suscita l’interesse degli artisti fin dai tempi più antichi – dalle tombe egizie agli erbari medioevali – e può vantare nomi della statura di Leonardo e Dürer tra i propri fautori, ma è soprattutto in Pierre-Joseph Redouté (1759-1840), meglio conosciuto con lo pseudonimo di “Raffaello dei fiori”, che si suole identificare l’apice dell’arte dell’illustrazione floreale. Gli artisti contemporanei, invece, sembrano avere preso via via le distanze da questo genere di raffigurazione, considerata spesso solo un vacuo esercizio di stile per “pittori della domenica”.
Dany Vescovi riporta i fiori sulla tela costruendo una propria
poetica originale in completa controtendenza.
Il fiore è dipinto con accuratezza iperrealistica – dimostrando
una padronanza tecnica degna dei maestri della tradizione – al
fine di esaltarne le caratteristiche cromatiche e formali.
Diversamente da quanto potrebbe apparire, l’artista non ha
alcun interesse per gli aspetti botanico-scientifici dei soggetti
dei propri quadri. L’elemento floreale è un pretesto per poter
“fare pittura” nel senso più puro ed essenziale del termine.
Nel 1948, Gillo Dorfles – critico, filosofo e pittore – fondò con
altri artisti il Movimento per l’Arte Concreta (MAC), definendola una forma d’arte «basata soltanto sulla realizzazione e
sull’oggettivazione delle intuizioni dell’artista, rese in concrete immagini di forma-colore, lontane da ogni significato simbolico, da ogni astrazione formale, e mirante a cogliere solo
quei ritmi, quelle cadenze, quegli accordi, di cui è ricco il
mondo dei colori».
Alla fine, quel che rimane delle opere di Dany Vescovi non è
tanto lo specifico fiore – il pretesto, appunto –, quanto piuttosto l’incredibile energia della pittura, sprigionata dai ritmi, dalle
cadenze, e dagli accordi di forme e colori, proprio come nelle
parole di Dorfles, a dispetto della distanza cronologica e,
ancor più, poetico-formale che separa le sue opere da quelle realizzate in seno al MAC.
L’interferenza tra figure geometriche elementari e forme
naturali – delineate con precisione fotografica – crea un’unione armonica, sorretta dalla solidità del colore saturo e da un
impianto rigoroso.
L’artista combina pittura figurativa e astrattismo geometrico
in composizioni dal forte dinamismo. L’immagine floreale
sembra scomporsi e poi ricomporsi all’infinito nelle partizioni
verticali del dipinto, come fossero fotogrammi in sequenza
rapida, quasi un ricordo dei primi esperimenti dell’inglese
Muybridge sull’immagine in movimento (Eadweard
Muybridge, fotografo, Kingston upon Thames, 1830-1904). La luce sembra danzare sulla tela seguendo il percorso dei
fotogrammi, segnato dall’alternarsi di quadranti accessi e
spenti, sulla base di una progressione tonale armonica insolita, come nella musica jazz. E nell’insieme di trasposizioni
ascendenti o discendenti ci sembra davvero di sentirlo, lo swing, la pulsazione ritmica jazzistica, elastica e scandita in
maniera ineguale.
***testo pubblicato in GIDM n. 4, vol. 30, dicembre 2010***