Der Blick, der ans eine Schöne sich verliert, ist ein sabbatischer. Er rettet am Gegenstand etwas von der Ruhe seines Schöpfungstages. […] Fast könnte man sagen, daß vom Tempo, der Geduld und Ausdauer des Verweilens beim Einzelnen, Wahrheit selber abhängt.

Lo sguardo che si perde nella bellezza di un singolo oggetto è uno sguardo sabbatico. Esso salva nell'oggetto un po' della quiete del giorno in cui è stato creato. […] Si potrebbe quasi dire che la verità stessa dipende dal contegno, dalla pazienza e assiduità con cui si indugia presso quel singolo oggetto.

Theodor W. Adorno

sabato 4 gennaio 2014

Giorni Felici

Enrico Tealdi, Giorni Felici, 2013 (dettaglio)
19 quadri, dimensioni variabili, tecnica mista su carta
courtesy l'artista

Giorni Felici è un autoritratto polittico costituito da diciannove quadri di varie dimensioni. In ciascuno Enrico Tealdi ha racchiuso una propria fotografia – impressa su carta con una tecnica particolare – e l'ha resa quasi inaccessibile allo sguardo annerendo la superficie del vetro. L'autoritratto è quindi una sorta di mosaico oscuro fatto di tessere idealmente interscambiabili, essendo tutte ugualmente nere e inintelligibili.


Sul piano estetico l'installazione ricorda la pinacoteca di quadri neri realizzata nel 2005 da Christian Boltanski per Heartbeats, un ritratto corale/autoritratto tuttora in fieri: entrambi gli artisti sembrano suggerire l'impossibilità di rappresentare il proprio essere mediante un'immagine monolitica. Tuttavia, mentre Boltanski coinvolge la collettività mescolandosi a essa, Tealdi esclude qualsiasi reciprocità con il pubblico, presentando il proprio volto con gli occhi chiusi e quasi interamente celato.

Enrico Tealdi, Giorni Felici, 2013 (dettaglio)
19 quadri, dimensioni variabili, tecnica mista su carta

courtesy l'artista
Da un punto di vista puramente compositivo, Tealdi sembra rifarsi alla tradizione più consolidata, dalla quale però, al contempo, si discosta con nettezza. Da un lato, infatti, l'opera richiama le ancóne gotiche con funzione di pale d'altare fiorite soprattutto fra Tre e Quattrocento, con le quali condivide l'accostamento dei pannelli, la coordinazione delle tavole sulla base di un progetto architettonico non casuale, nonché la ripartizione del soggetto in più cornici, sebbene qui la disposizione geometrica rinunci al rigore euclideo del passato e ciascuna anconetta eviti di riprodurre una figura integra o una scena di senso compiuto. Dall'altro, allude sottilmente al canone del ritratto multiplo, che ha nel Triplice ritratto di orefice (1530) di Lorenzo Lotto un vertice ineguagliato.

Tuttavia, sul filo del paradosso, l'opera di Tealdi contraddice la tradizione della ritrattistica, perché frammenta il volto seppellendolo sotto strati di pittura nera. Questa, come un'iconostasi deprivata delle icone, preclude una visione complessiva della rappresentazione, concedendo all'osservatore di coglierne, attraverso minime fenditure e leggere graffiature, soltanto rari lacerti disgiunti.


Enrico Tealdi, Giorni Felici, 2013
19 quadri, dimensioni variabili, tecnica mista su carta
courtesy l'artista
In questo senso, si comprende perché Giorni Felici sia ispirata all'omonima pièce teatrale di Samuel Beckett, nella quale Winnie, donna di mezza età, sotterrata dalla vita in giù, accoglie ogni giorno come «un altro giorno divino», malgrado l'assurda drammaticità del proprio destino acarpo. Analogamente alla Winnie beckettiana, infatti, la figura dell'artista è immersa nella tenebra, quasi a voler attestare in termini introspettivi la solitudine esistenziale dell'individuo odierno, ma anche, e forse con una certa malizia, la difficoltà, per lo spettatore e soprattutto per il critico, di cogliere in tutta la sua complessità e profondità – se non a tratti e superficialmente – l'interiorità dell'artista contemporaneo.