Der Blick, der ans eine Schöne sich verliert, ist ein sabbatischer. Er rettet am Gegenstand etwas von der Ruhe seines Schöpfungstages. […] Fast könnte man sagen, daß vom Tempo, der Geduld und Ausdauer des Verweilens beim Einzelnen, Wahrheit selber abhängt.

Lo sguardo che si perde nella bellezza di un singolo oggetto è uno sguardo sabbatico. Esso salva nell'oggetto un po' della quiete del giorno in cui è stato creato. […] Si potrebbe quasi dire che la verità stessa dipende dal contegno, dalla pazienza e assiduità con cui si indugia presso quel singolo oggetto.

Theodor W. Adorno

giovedì 30 agosto 2012

Federica Perazzoli

 senza titolo, 2010, acrilico, 150x110 cm, courtesy l’artista

Le opere di Federica Perazzoli parlano un linguaggio apparentemente sobrio e accessibile, senza doppi sensi né malizia. Ogni opera somiglia alla pagina di un lungo racconto ambientato nella natura. Con pochi elementi essenziali l'artista ricrea paesaggi fiabeschi abitati da animali mansueti, come cani e cerbiatti, e da rari esseri umani, quasi sempre seminudi, incapaci di volgarità ma, sembra, non del tutto privi di qualcosa da nascondere. 

    Uno specchio d'acqua, un prato, una catena di monti sullo sfondo e qualche albero bastano a  ricreare un tipico paesaggio di montagna: Federica Perazzoli dipinge un universo a prima vista incantato e sereno, su cui si spande uniformemente una luce diffusa e senza ombre. Istantanee di un mondo ideale, espressione di un inconscio pacificato, purificato da dinamismi sia corporei sia psicologici, scevro appunto da zone d'ombra. Giorno e notte si alternano senza albe e senza crepuscoli. Non c'è vento tra gli alberi né corrente nell'acqua. I corpi delle figure umane e animali rappresentate si conformano a questa placidità diffusa, la loro gestualità è pacata, al limite della staticità, la postura svuotata, bonificata da qualsiasi tensione. Tutto esprime limpidezza, tutto è ordinato e pulito, non ci sono angoli oscuri, nodi irrisolti. La prima reazione di fronte a tanta perfezione è di pace e sollievo, ma prolungando l'osservazione comincia a sorgere, dalle trame candide di queste quiete istantanee, un senso d'inquietudine e astenia. Delle numerose betulle rappresentate nei dipinti – le «signorine dei boschi», come le chiamano i tedeschi – vediamo però soltanto il tronco e qualche ramo raccorciato e sterile, completamente spoglio, dal pallore luminoso e notturno, dalla vitalità pressoché cadaverica.

    Seppur manchi un intento predicatorio, queste tele “bucoliche” dicono indubbiamente più di quanto non traspaia di primo acchito. L'apparente e fuorviante facilità interpretativa di quelle che sembrano comuni esperienze estetiche di contemplazione e immersione nella natura cela, a ben vedere, spunti di riflessione interessanti e profondi. Il paragone che lo spettatore paziente è spontaneamente spinto a instaurare con le imperfezioni del quotidiano lo induce a sospettare che vi sia poco di “naturale” in questi scenari edulcorati, qualcosa di stridente nella celeste armonia delle composizioni, una sorta di scabrosa astrattezza dovuta all'inattività prossima all'apatia dei pochi personaggi rappresentati nonché alla mancanza di ombre. Senza ombre nessun contrasto, nessuna sofferenza, nemmeno intensa gioia però. Un mondo senz'ombra è un mondo senza tempo, ricordi o domani, sospeso unicamente in un'immobile e perdurante presente.

    Ricorderete la Storia straordinaria di Peter Schlemihl, romanzo del tedesco Adalbert von Chamisso del 1814, dove il protagonista, venduta la propria ombra al diavolo, è poi costretto a fuggire dal mondo civile perché considerato anormale e guardato con sospetto. O il più recente La fine del mondo e il paese delle meraviglie, dove Haruki Murakami descrive un paese al quale si accede  solamente dopo essersi privati della propria ombra, un paese tranquillo ma dove l'aria sembra nociva, diversa da quella di tutti gli altri luoghi: «Non saprei spiegarti il perché, ma non mi sembra una cosa giusta separare una persona dalla sua ombra. Penso che sia un errore, che siamo venuti nel posto sbagliato. Le persone non possono vivere senza la loro ombra, e le ombre senza le persone non esistono...» (traduzione dal giapponese di Antonietta Pastore, Einaudi, Torino, 2008).
Cancellare il lato “oscuro” è negare la verità delle cose e ridurle a entità non reali, per quanto incantevoli. I lavori di Federica Perazzoli ce lo ricordano e vi alludono con delicata sensibilità.


***testo pubblicato in GIDM n. 3, vol. 32, settembre 2012***